Mestre, «Io, calzolaio da 50 anni, viene voglia di smettere ma proprio non ci riesco»
MESTRE. Un negozietto di neanche 20 metri quadri, una vetrina dove sono esposte calzature finissime, raffinate, uniche, perché fatte a mano e su misura. Un’entratina 3 metri per 3 dove accogliere il cliente tra due poltroncine e uno specchio basso appoggiato al corto bancone che riflette le scarpe che si indossano. Uno scaffale con i prodotti del mestiere che fronteggia delle macchine per cucine.
Cinquant’anni di lavoro, anzi di vita, Vittorio Masiero li ha passati qui, da quel 17 maggio 1968, quando ha deciso di fare il grande passo per mettersi in proprio e ha alzato la saracinesca al civico 14 di Piazzale Leonardo Da Vinci. «Venivo a Mestre tutti i giorni in bicicletta, poi in Vespa» racconta oggi «Facevo 16 chilometri da Noale, dove abitavo. Mio fratello Italo, bravissimo calzolaio, non era secondo a nessuno, era uno dei migliori artigiani d’Italia».
Masiero racconta, senza fermarsi un attimo, sagomando due solette per un paio di scarpe da uomo, morbide come guanti. Occhiali abbassati sul naso, occhio sulla porta, a scrutare chi passa. «Qui si entra con il desiderio di avere una realizzazione unica. Ma non c’è più questo tipo di cultura. Adesso, si comprano solo le grandi firme, che costano come e più di una mia scarpa e poi» dice mostrando un sandalo dal cinturino rotto «vengono qui a farla riparare».
Quella volta che Greta Garbo a Hollywood volle conoscere Marcello Mastroianni, guardò le scarpe. «Italian shoes?» gli chiese. «Negli anni ’60 e ’70 c’erano tanti artigiani calzolai, ora sono rimasto uno degli ultimi». La soddisfazione più grande in questi anni? «Far camminare bene la gente». Clienti particolari? «Tanti di Mestre, ma anche stranieri. Tre-quattro anni fa mi ha contattato uno scozzese per telefono, mentre fino agli anni ’80 avevo un messicano che ogni anno veniva in vacanza e mi ordinava sempre un paio di scarpe».
E adesso? «Comprano su Internet e poi vengono qui a farle mettere in forma». E oggi? «I ragazzi di oggi non hanno la costanza che questo lavoro necessita. Gli conviene aspettare il reddito di cittadinanza di 780 euro, no? L’artigianato non è mai stato valorizzato». Ma rende questo lavoro? Tira fuori la tasca vuota dai pantaloni e la mostra. «Una volta rendeva. Ho comprato casa, con sacrifici, fatto studiare due figli. L’anno prossimo faccio 50 anni di matrimonio. Ma adesso...».
Paga l’Inps dal 1956, non ha mai fatto malattia se non un mese 4 anni fa. «Ma non vedevo l’ora di ritornare a lavorare. Non so rinunciare al contatto con il pubblico. Mi conoscono tutti qui». Posa le scarpe sul banco, guarda dritto negli occhi, dice con voce calma e solenne. «È difficile anche smettere, sa? Perché solo qui dentro mi sento totalmente libero». —
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