Mestre, Il Tar bacchetta l’Arpav. «Controlli sul locale durante la festa in città»
MESTRE. Quel pomeriggio del 7 ottobre 2016, un po’ di rumore in più del solito potrebbe esserci stato. In centro era in corso la manifestazione “Ritroviamoci tutti in piazza come una volta”, organizzata con un tamtam su Facebook e capace di portare in piazza Ferretto e dintorni, tra le 17 e le 23, circa tremila persone per ricordare gli anni d’oro del centro, tra aperitivi e passeggiate dovendo schivare la gente da tanta che ce n’era. Ma proprio quel pomeriggio, i tecnici dell’Arpav chiamati a misurare il rumore avevano effettuato il sopralluogo nei pressi del ristorante Casa Fortuna in Corte Bettini. Le misurazioni erano state registrate alle 18.14, alle 18.43 e alle 19.35. Praticamente in pieno evento. Misurazioni, queste, che avevano registrato il superamento dei limiti delle emissioni sonore consentite in zona abitativa. Secondo l’Arpav, il rumore sarebbe stato provocato dagli avventori di Casa Fortuna che stazionavano nel plateatico.
E così era scattato il provvedimento da parte del Comune per la revoca della concessione per l’occupazione del suolo pubblico (con proroghe fino al pronunciamento del Tar) e contestuale comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento della Scia. La società Baldan, al timone del locale, ha impugnato il provvedimento davanti al Tar con gli avvocati Giovanni Attilio De Martin e Luca Fonte, sostenendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. I giudici, nella sentenza pubblicata ieri, parlano di provvedimento «irragionevole».
«Tali accertamenti non potevano di per sé soli giustificare l’adozione del provvedimento in quanto svolti dall’Arpav nel corso di un evento cittadino straordinario ed eccezionale». E ancora viene evidenziato che il provvedimento, basato su quegli accertamenti che non risulta siano stati ripetuti in altra occasione, «è stato adottato sulla scorta di rilievi sonori effettuati non in condizioni di normalità, ma in un contesto che pone in discussione l’attendibilità degli accertamenti e non poteva costituire il viatico per l’adozione di provvedimenti repressivi. Il Comune, secondo il Tar, avrebbe dovuto chiedere all’Arpav la ripetizione delle analisi in condizioni standard.
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