Mercalli: «Basta negare il cambiamento climatico, a Venezia come altrove»
l’intervista
«Era tutto previsto e scritto da decenni, questi eventi vengono oggi amplificati dal cambiamento climatico. Ma lo si sapeva che sarebbe successo». Luca Mercalli è un meteorologo, climatologo, divulgatore scientifico e accademico italiano, molto noto al pubblico, per i suoi libri, le sue trasmissioni e la partecipazione a “Che tempo che fa”. Dallo studio ieri sera ha parlato proprio dell'emergenza in corso a Venezia.
Mercalli, ci spieghi cosa sta avvenendo alla nostra città.
«L’aumento del livello del mare è una realtà nota, prevista e scritta. Tutti i mari del mondo ne sono interessati e la causa è principalmente lo scioglimento dei grandi ghiacciai del mondo. Dal Novecento ad oggi il mare Adriatico è salito di 15 centimetri e questa situazione peggiora il fenomeno dell’acqua alta a Venezia, città che vive anche un altro fenomeno, non collegato al cambiamento climatico, ovvero il fatto che Venezia lentamente sprofonda. Mettendo assieme tutti questi elementi, si produce una situazione per cui si arriva ad avere 35 centimetri in più di acqua alta di media. E come ben segnala il centro maree di Venezia, le acque alte sopra il metro e dieci sono sempre più frequenti. In futuro, ma è tutto da studiare, potrebbe avere un peso rilevante anche l'effetto del vento».
A Venezia martedì notte proprio il vento di bora, unito all'acqua alta, ha rappresentato un nuovo campanello di allarme. Che ha impaurito la popolazione.
«Se si è trattato di un vento differente da altri non è facile da dire immediatamente. Dovremo ricostruire l'evento di martedì sera come abbiamo fatto con Vaia, una ricostruzione dell’evento al computer che sicuramente verrà fatta ma ci vorrà del tempo. Ma è ovvio che faccia pensare un evento di vento estremo che arriva praticamente un anno dopo quello di Vaia, avvenuto ricordo il 28 ottobre di un anno fa. Un anno dopo si ripete a Venezia. Ecco: mettendo assieme tutti questi fattori, si crea uno scenario per Venezia che appare sempre più difficile. Io a Venezia vengo spesso e so questi temi sono stati già detti e ridetti spesso».
Non sarebbe il momento di passare dalle parole ai fatti, quelli veri?
«Certamente! Ma purtroppo per quanto riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici nel nostro paese prevale la negazione. Sembra una barzelletta quanto è avvenuto in consiglio regionale allagato dopo la bocciatura dell’ordine del giorno sui cambiamenti climatici. Purtroppo invece è vero. E la verità è che è faticoso nel nostro paese far capire che sui cambiamenti climatici non ci può essere negazione ed è il momento del fare e non del dire».
C'è ovviamente la questione del Mose.
«Da torinese io paragono la vicenda del Mose alla Tav in Val di Susa. Si va avanti anche se gli esperti e gli studiosi dicono che non serve e mi sa che tra vent’anni saremo ancora qui a discutere e gli studiosi, penso ai professori di Padova, che avevano sollevato dubbi sul Mose, diranno “Noi lo avevamo detto”. Invece quei dubbi andavano ascoltati prima. Ora il danno è fatto».
Mi scusi: è una situazione che rattrista.
«La tristezza c’è e dispiace davvero vedere che non c’è ascolto su questi temi. Venezia è così unica che per salvarla occorre mettere le migliori teste pensanti ad elaborare progetti e scenari. Ma in questa situazione manca anche il rispetto del sapere intellettuale».
Spieghi meglio.
«Secondo me serve un grande concorso di idee a livello mondiale per studiare misure di vera difesa per Venezia. Lo sappiamo tutti che se continua a salire il livello del mare, il Mose non serve a niente. Sarebbe presuntuoso da parte mia fare adesso delle proposte. Ritengo più giusto che siano le migliori teste mondiali a pensarci, con serenità, con una scienza pulita, lontana da partiti e poteri. A Venezia si può partire subito facendo lavorare assieme l’Ismar Cnr assieme all’Università Ca’ Foscari e allo Iuav. Si aggiungano esperti e contributi esteri e si valutano tre, massimo 4, progetti sensati. La scelta e la realizzazione diventa poi questione governativa, direi anche mondiale. Ci servono almeno 3,4 anni per arrivare a studi veri su progetti concreti. E possiamo anche andare a chiedere aiuto agli olandesi. Abbiamo l’Europa unita che dovrebbe servire anche a far circolare conoscenze e idee. E invece siamo qui, tristi, di fronte all'ignoranza su questi temi». —
Mitia Chiarin
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