Mensa dei poveri, boom di veneziani e mestrini

MESTRE. Un impegno costante e duraturo, perché prima di riempire gli stomaci bisogna restituire la dignità a chi, schiacciato dalla vita e dalla sorte, spesso ha dimenticato anche le più banali cortesie: è questa la missione della mensa di Ca' Letizia, istituzione storica nello scenario della solidarietà mestrina che, grazie alla premiazione di una delle sue volontarie “veterane”, si è vista finalmente riconoscere un ruolo fondamentale nell'accoglienza e nell'assistenza degli indigenti.
Riconoscimento. Insignita del prestigioso premio “San Rocco” 2015, assegnato dall'omonima Scuola Grande e Arciconfraternita veneziana, è stata Maria Teresa Calmasini, 82 anni di cui 48 passati tra i tavoli e i fornelli di via Querini, presente fin dal giorno dell'apertura, il 15 ottobre 1967.
Ospiti veneziani. La “signora Teresa”, com'è semplicemente conosciuta dagli ospiti e dagli “angeli” di Ca' Letizia, preferisce un profilo basso, così a parlare è Stefano Bozzi, presidente della San Vincenzo mestrina e responsabile anche della mensa in centro città, che ha voluto ribadire la missione dell'associazione, divenuta ancora più significativa in questi anni difficili: «Se quattro o cinque anni fa la maggior parte dei nostri assistiti era straniera», spiega, «oggi almeno la metà è veneziana, in molti casi uomini ancora in età da lavoro ma che hanno perso l'impiego, spesso anche la casa, e che non hanno nessuno ad aiutarli».

Dignità. L'obiettivo dello spazio di via Querini, perciò, non è solamente quello di nutrire i bisognosi a colazione e cena (impegno che comunque viene portato avanti 365 giorni l'anno, pur con modalità differenti), ma anche quello «di far sentire queste persone come normali esseri umani, servendoli al tavolo (una modalità che restituisce importanza agli utenti, ma che poche realtà preferiscono al self service), fornendo loro la possibilità di lavarsi e vestirsi, liberandoli dallo stereotipo che vuole l'indigente sporco, vestito di stracci e quindi subito identificabile e facile da allontanare».
Trecento volontari. Per questo, oltre alla mensa solidale, Ca' Letizia garantisce anche il servizio docce e vestiario, tutto a carico degli oltre trecento volontari in forza al gruppo e della provvidenza visto che, come ribadisce il presidente, l'associazione non riceve altro tipo di finanziamenti.

Mancanza di servizi. «È vero», insiste Bozzi, «noi siamo nel “triangolo nero” del degrado, a due passi dalle aiuole di via Carducci e dalle panchine di piazzale Donatori di Sangue, ma bisogna innanzi tutto capire che non è certo Ca' Letizia la causa di queste presenze scomode. In secondo luogo va ricordato che non si può fare di tutta l'erba un fascio: un povero non è necessariamente un criminale o uno spacciatore; infine non si può dimenticare che mancano i servizi fondamentali per arginare questa situazione: si trovano escrementi e deiezioni negli spazi verdi, ma è anche vero che non ci sono bagni pubblici nelle vicinanze, le operazioni di repressione e sicurezza da sole servano a poco». Ca' Letizia da anni si dice disponibile a tenere aperte le sue porte più a lungo, per ospitare chi ha bisogno anche al di fuori degli orari tradizionali, ma quello che manca sono gli operatori: «Avremmo bisogno di più personale», conclude Bozzi. «Oltretutto sarebbe anche un modo per sensibilizzare maggiormente i cittadini. Recentemente abbiamo firmato delle convenzioni con alcune scuole superiori, come il Bruno, lo Stefanini e il Franchetti: gli studenti vengono qui per guadagnarsi i crediti formativi, ma imparano anche a conoscere il loro prossimo. A me piacerebbe che tutti quelli che puntano il dito contro i poveri e gli sbandati provassero a servire ai nostri tavoli per qualche giorno, almeno poi potrebbero criticare con cognizione di causa».
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