Medico del Civile patteggia otto mesi

VENEZIA. Ha preferito trovare l’accordo con il pubblico ministero Fabrizio Celenza il medico del Pronto soccorso dell’ospedale civile di Venezia e così il 52enne Sergio Marra (Mirano) ha patteggiato una pena di otto mesi di reclusione (è stata sospesa grazie alla condizionale): era accusato di omicidio colposo. In questo modo, ha evitato il processo in aula ed ha portato a casa uno sconto di un terzo sulla pena finale perché ha fatto risparmiare tempo ed energie alla giustizia. La sentenza è stata letta ieri dal giudice dell’udienza preliminare di Venezia Luigi Vicinanza, dopo che le parti si erano accordate sulla pena e sulla sua sospensione.
I fatti si riferiscono al settembre di due anni fa ed erano stati denunciati dai parenti del veneziano Michele Ferro, che aveva 61 anni. Nel pomeriggio del giorno 27 di quel mese si era presentato al Pronto soccorso con forti dolori addominali, tanto forti che riusciva a malapena a camminare, ma chi lo aveva accolto aveva anche insistito che arrivasse al Pronto soccorso con le sue gambe, camminando, e non in barella. Erano le 16,30 e in servizio c’era il dottor Marra, che avrebbe diagnosticato una stipsi e aveva prescritto al paziente un farmaco per liberare l’intestino. L’aveva anche rimandato a casa, ma il 29 settembre, un giorno e mezzo dopo essere stato visitato era deceduto. Il rappresentante della Procura che ha coordinato le indagini aveva subito incaricato dell’autopsia il medico legale Antonello Cirnelli, il quale aveva stabilito che il decesso del 61enhne veneziano era stato causato da una peritonite fulminante. Si tratta di una grave infiammazione dovuta alla perforazio interna dell’intestino. Solitamente la perforazione del tratto gastro intestinale è dovuto all’aggravarsi di un’appendicite o alle complicanze create dalla presenza di un corpo estraneo nell’intestino.
Tutte circostanze che con gli esami adatti o anche con una visita eseguita da un chirurgo addominale sarebbero potute venire alla luce, invece l’imputato, stando alle accuse, avrebbe emesso la sua diagnosi senza alcun esame, limitandosi a visitarlo e a prescrivergli una forte purga, sostenendo si trattasse - come hanno rivelato i parenti di Ferro - di una stipsi facilmente risolvibile. In realtà, il 61enne veneziano avrebbe continuato ad avere dolori anche il giorno seguente e fino a che era deceduto a causa dell’aggravarsi della peritonite. Solitamente la temperatura del corpo si alza notevolmente e spesso basta un’esame del sangue in laboratorio per scoprire che si tratta dell’infiammazione del la cavità peritoneale. Il difensore, l’avvocato Giuseppe Sarti, ha preferito trovare l’accordo con il pubblico ministero piuttosto che discutere in aula davanti al giudice monocratico, anche perché i parenti di Ferro, che non si sono costituiti parte civile, non sono ancora stati risarciti dall’assicurazione per la morte del loro caro. Intendono comunque, avviare una causa civile per chiedere il risarcimento patito a causa della sua morte.
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