Mazzette sui permessi di soggiorno a Jesolo: prime ammissioni, Gobbato parla

Tre poliziotti arrestati perché si sarebbero fatti pagare per rilasciare permessi agli stranieri: strategie difensive diverse. Il ristoratore bengalese Reaz si dichiara totalmente estraneo alle accuse

JESOLO. C’è chi nega tutto, chi ammette qualcosa e chi, una volta scoperto, si prende tutte le sue responsabilità. Nella giornata degli interrogatori di garanzia per gli arrestati dell’inchiesta sulle mazzette richieste da tre poliziotti del commissariato di Jesolo in cambio di permessi di soggiorno facili, le difese scelgono strade diverse e se gli agenti ammettono la sostanza delle accuse di corruzione mosse dal pm Buccini nei loro confronti - pur con posizioni molto diverse, per numero e valore degli episodi contestati - chi si dichiara totalmente estraneo alle accuse è l’imprenditore Reaz Abu Syed, ristoratore con diverse attività a Jesolo ora sotto sequestro, cittadino italiano da un anno e considerato dagli investigatori il punto di riferimento tra gli agenti corrotti e gli stranieri bengalesi in cerca di un permesso facile.

Così, l’ispettore Riccardo Chiumento, davanti al gip di Belluno, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma fa mea culpa. «È pronto a prendersi le sue responsabilità e a pagare per quelle», commenta l’avvocato Igor Zornetta, che lo difende insieme all’avvocato Antonio Amore, «abbiamo già presentato richiesta al pm Buccini per essere sentiti». Davanti a una mole di intercettazioni telefoniche nel corso delle quali l’ispettore organizza la compravendita di favori e spiega di aver bisogno di tanti soldi, la linea della difesa è quella di dare la massima collaborazione, alla ricerca di un patteggiamento.

Il sovrintendente Denis Gobbato ha invece risposto per due ore alle domande del gip di Vicenza, essendo lì detenuto. «Ha chiarito alcuni episodi per quali si è assunto le responsabilità, ma negato una partecipazione compulsiva», commenta l’avvocato Luca Pavanetto, che ha chiesto la scarcerazione,«è iniziato tutto un anno e mezzo fa con alcuni favori ad alcuni amici e poi le richieste si sono fatte pressanti ed è stato preso nel vortice. Massima collaborazione, abbiamo chiesto di essere sentiti dal pm».

Quanto al sovrintendente Michele Damo - difeso dall’avvocato Marigonda - nell’interrogatorio di ieri ha ammesso solo quattro episodi: anche per la Procura ha una posizione marginale, dal momento che si faceva pagare piccole somme (100 euro, contro le migliaia contestate ai colleghi) per anticipare appuntamenti all’ufficio immigrazione.

Nega tutto, invece, Reaz: «Ha escluso ogni responsabilità e poi si è avvalso della facoltà di non rispondere, anche perché era interrogato per rogatoria a Padova e non dal giudice Scaramuzza che ha firmato le ordinanze: abbiamo già presentato richiesta di Riesame (l’udienza è fissata per il 14 agosto, ndr) per la revoca della misura cautelare», commenta l’avvocato Walter Drusian, che difende il ristoratore insieme al collega Matteo Giuseppe D’Anna.

E le 174 telefonate intercettate con l’ispettore Chiumento? «In quelle telefonate non c’è niente di rilevante ai fini delle indagini. Al giudice abbiamo detto che Reaz è da anni interprete ufficiale del commissariato di Jesolo, chiamato anche dai carabinieri e dai vigili di San Donà, in caso di operazioni di espulsione. Le frequentazioni sono solo di questo tipo». Si sono invece avvalsi della facoltà di non rispondere altri due stranieri accusati di aver fatto da tramite per le rispettive comunità, Halim Palowan e il serbo Senad Smajic, difesi dagli avvocati Modenese e Scussat.

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