Maxi rissa in via del Gaggian a Mestre: profugo picchia i carabinieri

Li ha colpiti con testate e pugni, tre feriti con prognosi di 35 e 10 giorni. I militari sono stati accerchiati da 30 migranti
Casa di via Gaggian dove vengono ospitati degli immigrati dalla Caritas
Casa di via Gaggian dove vengono ospitati degli immigrati dalla Caritas

MESTRE. Da solo, tra pugni e testate, ha mandato al pronto soccorso tre carabinieri: due con prognosi di 35 giorni (tra tante lesioni, anche distorsioni al ginocchio), uno di dieci. Poi davanti all’arrivo - in suo soccorso - di una trentina di compagni, uno dei quali armato di un grosso bastone, sono dovute intervenire ben sei pattuglie di carabinieri e poliziotti, per ripristinare la tranquillità in quella sorta di “terra di nessuno” che è diventata l’ex residenza Caritas per rifugiati di via del Gaggian, alla Gazzera, dalla scorsa estate occupata da una sessantina di stranieri in arrivo dalla Libia e da due anni in attesa dei permessi di soggiorno per rifugiati. Due settimane fa, la rivolta notturna con copertoni bruciati e lancio di bottiglie contro le forze dell’ordine, per protestare per la mancanza di elettricità e i ritardi dei permessi: una situazione di grave degrado.

Poi, il 26 aprile, a riprova dell’emergenza via del Gaggian, il caso approdato ieri all’attenzione della giudice per le indagini preliminari Barbara Lancieri, chiamata - su richiesta del pm Celenza - a convalidare l’arresto di Josef Chedon, 29 anni, originario del Camerun, sbarcato due anni fa a Lampedusa, dopo essere fuggito dalla Libia dove lavorava in un’impresa edile. Lunga la lista di accuse a suo carico: dalla resistenza aggravata alle lesioni aggravate, dallo spaccio all’articolo 611 del codice per aver con la violenza costretto un connazionale a commettere un reato (nello specifico, spaccio) alla ricettazione di un cellulare. Lui, ieri, si è difeso - con l’avvocato Mario d’Elia - sostenendo di aver reagito a quella che pensava essere un’aggressione, dal momento che i tre carabinieri erano in borghese. Ha negato anche qualsiasi coinvolgimento in questioni di droga: ma proprio da un’indagine sullo spaccio di marijuana e hashish ha preso le mosse l’arresto di Chedon, costato settimane di malattia ai tre carabinieri.

Un’inchiesta partita da una cessione di marijuana (per altro, ora, declassificata a droga leggera) nel pressi di un centro sociale. Due settimane fa, Josef Chedon era stato riconosciuto all’uscita della stazione di Mestre, ma quando i carabinieri gli hanno intimato di fermarsi, l’uomo ha lanciato il pacco che aveva in mano, riuscendo poi a scappare. Nell’imballo, mezzo chilo di marijuana. Un’altra volta è stato visto in bici con i guanti, in un giorno di caldo sole: per i carabinieri nascondiglio di droga. La Procura contesta a Chedon anche una serie di intercettazioni telefoniche, relative a spaccio: «Non ero io», nega lui.

E il fermo, sempre nei giorni scorsi, a Padova, del nigeriano accusato di essere il suo rifonitore di droga, con la chiamata in correità di un altro piccolo spacciatore. Poi l’arresto: i tre carabinieri che si avvicinano per un controllo, lui che reagisce con una violenza estrema, a pugni, calci, testate, chiamando in soccorso una trentina di altri stranieri che abitano nell’immobile. Dopo le manette, un altro giovane africano si è fatto avanti, per denunciare di essere stato a sua volta picchiato da Chedon, che voleva fargli spacciare droga: «No», replica lui, «mi ha rubato la bici». Ma la gip Lancieri ha convalido l’arresto: l’uomo resta in carcere.

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