Maxi frode fiscale delle vetrerie di Murano: corsa per patteggiare, al Fisco 2,5 milioni

Tutti i dieci imputati hanno trovato l’accordo con il pm sulle pene che oscillano tra i sei mesi e l’anno. Ora deciderà il gip

Rubina Bon. murano. Un tesoretto da due milioni e mezzo di euro: tanto il Fisco recupererà dal pagamento dei debiti tributari da parte degli indagati nell’inchiesta “Vetro Nero”, coordinata dal sostituto procuratore Stefano Buccini, sulla maxi evasione fiscale da oltre 6 milioni di euro delle vetrerie di Murano.

I dieci indagati per dichiarazione fraudolenta in concorso vogliono patteggiare e sono pronti a saldare il debito calcolato in base all’evasione. Condizione necessaria, questa, per poter accedere all’accordo sulla pena con il pubblico ministero. I versamenti dovranno essere effettuati entro la data in cui il gip a cui verrà assegnato il fascicolo fisserà l’udienza preliminare, con ogni probabilità entro l’estate.

Sarà il giudice a doversi pronunciare sulla congruità dei patteggiamenti su cui c’è il via libera da parte del magistrato. . Le pene proposte oscillano tra i sei mesi e l’anno. Le hanno concordate il pm e i difensori di Massimiliano Schiavon (Schiavon Massimiliano Art Team), Michele Zampedri (Vetreria Artistica Vivarini), Giorgia Schiavon (Vetreria Artistica Reno Schiavon), Nicola Foccardi (Linea Murano Art), Carlo Masotti (Vetreria Murano Arte), Umberto Cenedese (Cam Vetri d’Arte), Roberto Aseo (Cam Vetri d’Arte), Elisabetta Bianchini e Leone Panisson (entrambi di Bisanzio Gallery), oltre che di Claudio Pellarin, titolare della ditta Venexto, operatore turistico e cambiavalute.

Le indagini della Guardia di Finanza avevano permesso di accertare come la vendita di oltre 30 milioni di euro di vetri di Murano (tra cui lampadari, vasi, bicchieri e sculture) sarebbe stata praticamente sconosciuta all’Erario. Il meccanismo ricostruito dalle Fiamme Gialle prevedeva che i pagamenti venissero fatti dai clienti, soprattutto turisti stranieri estasiati dalla bravura dei maestri vetrai muranesi, attraverso dieci dispositivi Pos che erano intestati a Claudio Pellarin, ma che di fatto venivano usati dalle vetrerie compiacenti per incassare i soldi di vendite fatte in “nero”.

«Ogni mattina Pellarin si recava presso la propria banca per prelevare in contanti un importo corrispondente al totale delle somme incassate dalle vetrerie il giorno precedente, tramite i terminali Pos», aveva spiegato il comandante provinciale della Guardia di Finanza Giovanni Avitabile a maggio dello scorso anno, quando erano scattati i sequestri, «In un’occasione addirittura 170 mila euro. Poi, nel proprio ufficio, si incontrava coi titolari delle vetrerie ai quali restituiva i soldi, trattenendo per sé il 5% della commessa». Il pubblico ministero ha contestato ai legali rappresentanti delle otto vetrerie un’evasione dell’Ires per 5,4 milioni di euro tra il 2013 e il febbraio 2018 e profitti illeciti per il solo Pellarin per 1,390 milioni di euro che non erano stati dichiarati.

Nell’ordinanza con cui disponeva i sequestri preventivi (che poi erano stati parzialmente revocati dal tribunale del Riesame), il gip David Calabria aveva scritto che «non vi è dubbio che l’impiego dei Pos messi a disposizione dal Pallarin costituisca un (peraltro assai ingegnoso) meccanismo fraudolento per consentire agli operatori economici di incassare “in nero” i corrispettivi delle vendite senza lasciare traccia».

L’indagine sulle vetrerie aveva permesso di aprire uno squarcio su un fenomeno tipicamente veneziano, ossia quello degli “intromettitori” che indirizzavano i turisti verso una vetreria piuttosto che verso un’altra, ottenendo in cambio percentuali che gli inquirenti hanno calcolato attorno al 20%.

“Intromettitori” che sarebbero stati pagati con il “nero” dalle vetrerie. La dichiarazione infedele, tuttavia, diventa penale qualora venga superata la soglia di 150mila euro di imposta evasa (corrispondente a un pagamento di circa 400mila euro ad un’unica persona in uno stesso periodo). In caso contrario, si tratta di una violazione tributaria contestata dall’Agenzia delle Entrate. —

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