Massaggio “caro”, la accoltellò ecco la condanna a dieci anni

Il 52enne Piero Timini di Favaro non si era accordato con la titolare di un salone cinese a Udine e tentò di ucciderla. Ha detto di non ricordare niente, ma scarpe e giubbotto erano insanguinati

Non si erano accordati sul prezzo della prestazione, un massaggio per il quale lei aveva chiesto 20 euro e che lui non voleva pagare più di 10. E così Piero Timini, 52 anni, residente a Favaro ma in realtà senza fissa dimora da tempo, era tornato alla carica con un coltello da cucina in pugno: aveva varcato la porta del centro massaggi cinese “Paradiso d’Oriente”, in via San Valentino, a Udine, e aveva colpito la titolare più e più volte in diverse parti del corpo. Poi, chiusa a chiave la porta dall’esterno, se n’era andato, lasciandola agonizzante in terra.

Era il 6 gennaio dell’anno scorso. Quattro giorni dopo, il fermo dei carabinieri con l’accusa di tentato omicidio e, ieri, la condanna: 10 anni di reclusione e il risarcimento dei danni alla donna (da liquidarsi in separato giudizio). Analoghe le richieste del pm Letizia Puppa, che aveva contestato all’uomo anche la contravvenzione del porto del coltello. La sentenza è stata pronunciata al termine del processo celebrato con rito abbreviato (in caso di condanna, garantisce la riduzione di un terzo della pena), condizionato alla perizia psichiatrica dell’imputato. Perizia che ne aveva certificato la capacità d’intendere e di volere. Il giudice ha comunque concesso a Timini le attenuanti generiche in regime di equivalenza con la recidiva reiterata e specifica, relativa a precedenti condanne per violenza sessuale e atti di libidine, negli anni ’90, e per lesioni personali, nel 2005.

Presente all’udienza, dopo la lettura del dispositivo Timini ha saluto il proprio difensore, avvocato Filippo Mansutti, ed è stato riaccompagnato in carcere, a Pordenone. In aula anche l’avvocato Atos Bergamasco, legale di parte civile per la donna aggredita, una cittadina cinese di 43 anni. Quella sera d’Epifania, il senzatetto - che in quel periodo era ospite del ricovero notturno “Fogolar” - le aveva procurato lesioni potenzialmente mortali all’addome, al torace e al capo. Erano stati i carabinieri del Norm, una volta sfondata la porta, a salvarla e a cristallizzare la scena del delitto, e i colleghi del Nucleo investigativo ad arrivare a lui, dopo il ritrovamento del coltello, sotto un’auto, e del giubbotto e le scarpe sporchi di sangue in mezzo a un cespuglio.

Fatta eccezione per le parziali ammissioni rese al momento del fermo, Timini ha sempre dichiarato di non ricordare più niente di quella sera. Nel chiedere l’assoluzione «per non aver commesso il fatto», la difesa ha insistito sull’assenza di prove certe: «Né sul coltello, né al centro massaggi sono state trovate impronte digitali di Timini», ha detto l’avvocato Mansutti. «Il ritrovamento degli indumenti sporchi di sangue vicino all’articolo di giornale che parlava dell’aggressione lascia perplessi: a piazzarli dove lui dormiva potrebbe essere stato qualche altro senzatetto per fare ricadere su di lui la colpa». Scontato l’appello.

Luana de Francisco

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