Marito e moglie avvelenati dal “falso zafferano”

Cona. Sono spirati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra: non esiste antidoto
PIOVE DI SACCO. Uccisi dal falso zafferano, il fiore noto come colchico d’autunno o
colchicum autumnale
. Uccisi a pochi giorni l’uno dall’altra. Tutta colpa di un risotto cucinato con quella pianta mortale raccolta sui pendii di Folgaria in Trentino. Vittima una coppia residente a Cona, nel Veneziano, che si era trasferita nella località montana per trascorrere alcuni giorni di vacanza nella casa di loro proprietà: lui Giuseppe Agodi, 70enne originario di Agna nel Padovano, deceduto l’1 settembre all’apparenza per un infarto pur in presenza di problemi gastro-intestinali; lei Lorenza Frigatti, 69 anni, morta il 18 settembre dopo un’agonia durata 16 giorni nella Terapia intensiva dell’ospedale di Piove di Sacco.


Il giallo. A svelare l’avvelenamento, l’autopsia sul corpo del marito ordinata dal pm padovano Roberto D’Angelo. Il magistrato è allertato dai medici dell’ospedale di Piove dove, il 2 settembre, Lorenza Frigatti viene accompagnata dal figlio in preda a un grave malessere. Anche lei, come il coniuge, è stata colpita da un’inarrestabile diarrea mentre appaiono evidenti i sintomi di un cosiddetto shock multiorgano. I medici vedono subito giusto: c’è il sospetto di un avvelenamento. Ma che cosa potrebbe averlo causato? E come trattare quel quadro clinico visto che l’antidoto a un veleno non va scelto a caso? La direzione sanitaria informa la procura che ordina l’autopsia, bloccando il nullaosta per il funerale già fissato per il pomeriggio del 5 settembre. Quel giorno, invece, è eseguito l’esame autoptico dal professor Massimo Montisci dell’Università di Padova, che individua la presenza di una sostanza letale, la colchicina, nel sangue del pensionato. L’uomo risulta avvelenato. Come è accaduto? Ci sono dei farmaci a base di colchicina impiegati per la cura della gotta e, in rari casi, per il trattamento della pericardite che può verificarsi proprio in soggetti trapiantati o della sindrome post-pericardiotomica. Ma Agodi non ne faceva uso. Ecco l’intuizione di Montisci: sottoporre a esame tossicologico pure i campioni di sangue prelevati alla moglie, affetta da una sintomatologia simile. E il giallo è risolto: a uccidere Agodi e a intossicare la consorte è stato il risotto cucinato con il colchico d’autunno, fiore noto come il falso zafferano per la somiglianza alla pianta che lo produce e con un bulbo simile all’aglio.


La ricostruzione. La pianta fiorisce tra agosto e settembre e cresce spontanea nei prati delle valli di montagna. La coppia aveva raccolto in abbondanza i fiori con i bulbi, hanno raccontato alcuni vicini della casa trentina ai carabinieri del Nucleo investigativo di Padova: «Stavano rientrando da una passeggiata e avevano una borsetta piena di quei fiori. Avevamo avvertito: attenzione, sono pericolosi”. Il signor Giuseppe aveva risposto: “Non preoccupatevi che cucino i bulbi, sono un esperto”».


I due decessi. L’uomo si sente male dopo il pasto: ha un fisico delicato perché 6 anni prima aveva subito un trapianto di cuore. In poche ore, la morte. Per la guardia medica è sospetto infarto, visti i precedenti. L’indomani il rientro a Cona della moglie che viene ricoverata: il peggioramento è inesorabile fino al decesso di lunedì. L’avvelenamento da colchicina è mortale: non c’è alcun antidoto, solo trattamenti generici. Prima la diarrea diffusa, poi si verifica uno shock multiorgano con tossicità midollare. Il che significa che l’organismo non è più in grado di reagire alle infezioni. La morte? È questione di ore. Il fascicolo è stato trasmesso per competenza alla procura di Trento ma è evidente che non ci sarà alcun seguito penale.


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