Maritan ha ucciso per l’onore Le motivazioni della sentenza

SAN DONÀ
Un delitto maturato «per il forte astio, il risentimento, se non proprio l’odio nei confronti di Lovisetto, colpevole di aver infamato l’onore di Maritan per essersi, durante il periodo di detenzione dello stesso Maritan, legato sentimentalmente con quella che era stata la sua donna e sulla quale forse pretendeva ancora di dominare».
Scrivono così i giudici della Corte d’Assise (presidente Stefano Manduzio, giudice estensore Daniela Defazio) nelle motivazioni della sentenza che, alla fine di marzo, ha portato alla condanna dell’ex boss del Veneto Orientale Silvano Maritan (difeso dall’avvocato Giovanni Gentilini) a 14 anni per l’omicidio volontario di Alessandro Lovisetto, il 13 novembre 2016 in piazza Indipendenza, e a 4 mesi per aver portato con sé il coltello per uccidere. Ai tre figli della vittima, costituitisi con l’avvocato Andrea Faraon, è stata riconosciuta una provvisionale di 100 mila euro ciascuno.
Un’azione, quella di Maritan, «per riaffermare il proprio prestigio secondo codici di comportamento tipicamente criminali». I giudici non hanno dubbi: «La sua condotta era sostenuta da volontà di cagionare indifferentemente lesioni o morte». E questo perché, all’esito delle indagini e dell’istruttoria, è emerso che «Maritan non agì per legittima difesa. Lovisetto non era armato e non tenne alcun comportamento aggressivo nei confronti di Maritan. Sua intenzione era solo di chiarire la situazione che si era venuta a creare tra la Moschino, a cui egli si era legato (e che era la ex di Maritan, ndr), e il Maritan».
Maritan e Lovisetto si erano incontrati quella sera di novembre in piazza Indipendenza. Nessun intento aggressivo da parte della vittima né frasi minacciose, sottolineano i giudici, tanto che quando Maritan aveva tirato fuori il coltello, Lovisetto «tenne condotte di pura difesa». Nessuno dei testi ha riferito - come sosteneva la difesa - di aver visto il coltello in mano alla vittima e che solo in un secondo momento Maritan fosse riuscito a disarmare il rivale. Una versione non credibile tenuto conto anche delle stazze differenti, dell’età e del fatto che Lovisetto fosse sotto effetto di cocaina.
Nelle motivazioni della sentenza si fa menzione anche di un incontro tra Maritan e la Moschino precedente al delitto, nel quale lui aveva chiesto alla donna di firmare una dichiarazione e lei si era rifiutata. Così l’ex boss aveva estratto dalla tasca un coltello del tutto simile a quello usato per l’omicidio. E parlando di Lovisetto aveva detto: «Io ce l’ho qui e dove lo trovo, lo lascio». Vari anche i messaggi e le lettere inviati dall’ex boss all’ex fidanzata nei quali Lovisetto mai viene chiamato per nome, ma sempre apostrofato come “pappone” o “magnaccio”.
Nei calcoli della pena la Corte d’Assise ha riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche per l’età e il contesto in cui è maturato il fatto, escludendo la recidiva «perché il fatto è del tutto avulso dalla storia criminale di Maritan». —
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