Mario Monicelli, Venezia piange un protagonista del cinema italiano
Oggi a Roma i funerali del regista. In laguna diverse iniziative per ricordarlo
I giorni veneziani di Monicelli Al photo-call Con Paolo Baratta e sul red carpet
VENEZIA. Mario Monicelli ha affidato a Venezia il suo "testamento" visivo. L'ultimo film da lui girato, da «esordiente» documentarista, era stato infatti presentato, fuori concorso, alla Mostra del Cinema del Lido del 2008: lo straordinario, vivacissimo, commovente cortometraggio Vicino al Colosseo...c'è Monti, dichiarazione d'amore del regista toscano allo storico rione di Roma dove aveva scelto di abitare, per la sua dimensione ancora «provinciale» e dove oggi sarà portato per l'ultimo saluto.
«Volevo raccontare un rione di Roma, forse il più antico, non con toni enfatici e imperiali ma quotidiani - aveva spiegato Monicelli, accompagnando il suo "corto" in laguna - Volevo parlare di un "paese" con i suoi artigiani, delle antiche vie percorse da processioni, delle piazze che festeggiano le ottobrate, ma anche di negozi di abbigliamento curiosi e inaspettati e di giardini tropicali nascosti dietro i muri delle case o ancora, di scuole di danza e teatro celate in sotterranei o in attici terrazzati».
Ma a Venezia, e ancora alla Mostra, era tornato per l'ultima volta lo scorso anno, novantaquattrenne, ma caustico ed energico come sempre, per la proiezione in Campo San Polo de La Grande Guerra, in versione restaurata, a cinquant'anni dalla conquista del Leone d'Oro con quel film che quando vinse al Festival nel 1959 suscitò invece aspre polemiche, con il milanese Gassman e il romano Sordi che cercavano di sopravvivere in mezzo al primo conflitto mondiale.
«Il cinema di allora rileggeva la storia - dichiarò allora Monicelli, presente alla proiezione a San Polo - perché aveva il coraggio di rischiare, anche di sbagliare, ma non aveva paura di dire la verità. Oggi non è più così, non si racconta l'Italia com'è, il cinema italiano produce tanti bei filmetti, abbastanza ben girati, con qualche buon attore, storielle con drammi che quasi sempre vanno a finir bene, così sono tutti contenti e non pensano. L'Italia è l'opposto di quella che si vede al cinema. In Italia c'è sempre questa ansia di normalità, di normalizzare tutto. E adesso è anche peggio d'un tempo. Siamo un paese alla deriva».
Ma fin dall'esordio della sua meravigliosa carriera, Mario Monicelli si era rivelato un grande amico della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Nel 1935 aveva presentato alla Mostra, il suo mediometraggio d'esordio, I ragazzi della via Paal vincitore del premio per il miglior film a passo ridotto.
Tra i molti film poi presentati a Venezia nel 1958 il capolavoro I soliti ignoti, nel 1959, appunto, La grande guerra e nel 1991 Rossini! Rossini!.
Monicelli era stato anche giurato nel 1982 e presidente di giuria nel 2003, e non mancarono le polemiche, quando i giurati «snobbarono» Buongiorno notte di Marco Bellocchio, sul rapimento Moro - che la prese malissimo - premiando invece il bel film russo Il ritorno. «Per quanto concerne la polemica di Bellocchio - dichiarò in quell'occasione Monicelli - innanzitutto non è stato bello da parte sua e degli altri tornarsene a Roma prima del termine della Mostra perché una sfida non si abbandona mai. In secondo luogo, del "caso Moro" (se così vogliamo chiamarlo) non gliene fregava niente a nessuno...». Nel 1991 la Biennale di Venezia gli ha attribuito il Leone d'Oro alla Carriera.
«La Mostra di Venezia - ha dichiarato il presidente della Biennale Paolo Baratta - perde con Mario Monicelli uno dei suoi massimi protagonisti e testimoni, legato a essa sino alla sua ultima opera».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia
Video