«Maria viveva nel terrore. Lui era troppo geloso»
MUSILE DI PIAVE . «Maria viveva nel terrore». Parlano le sorelle e le colleghe di lavoro di Maria Archetta Mennella all’indomani del femminicidio di via Dante a Musile. Ricordano le ultime settimane, la gelosia crescente dell’ex marito che non sopportava più l’idea di perderla. Ieri mattina, le sorelle sono arrivate a San Donà alla caserma dei carabinieri. Sono ospiti da alcuni parenti di Verona. Volevano vedere la salma di Maria, ma non hanno potuto perché è ancora sotto sequestro in attesa dell’autopsia. Si occuperanno del trasferimento a Torre del Greco, loro città di origine, dove saranno celebrate le esequie. «Ha lasciato due figli senza una madre», hanno detto le sorelle, «merita di marcire in carcere, non lo perdoneremo mai per quello che ha fatto».
Parla Anna, poi Assunta, due delle cinque sorelle, cui si aggiunge un fratello, in questa numerosa famiglia che adesso sta ospitando i due figli di 14 e 9 anni che erano scesi dai nonni a Torre del Greco per le vacanze estive. I familiari stanno cercando un legale per tutelarsi e pare si rivolgeranno a un professionista della loro città.
«Maria», ricordano, «aveva una nuova vita, il lavoro, aveva spiccato il volo. Antonio era il padre dei suoi figli che erano tanto attaccati a lui. Si era trasferita a Noventa in una piccola mansarda, poi aveva scelto di trasferirsi a Musile perché era più comoda in un appartamento. Non ci risulta che lui la vedesse sempre, poi non lo faceva entrare in casa a dormire, ma solo per vedere i figli. Soltanto negli ultimi tempi era diventato troppo geloso».
Antonio dunque, secondo le sorelle, non dormiva da Maria, ma la vedeva ancora spesso per mantenere i rapporti con i figli. Forse quella notte era andato a parlarle, forse le aveva chiesto di ospitarlo e lei aveva accettato senza dire nulla. Le aveva anche regalato un’auto, per aiutarla e in qualche modo riconquistarla, lei che non viveva nell’oro.
«Ma era terrorizzata», dicono le colleghe al negozio “Ugo Colella” all’Outlet di Noventa, «E ce lo aveva detto più volte. Era bella, solare, bravissima nel suo lavoro». «Qui da noi», ricorda Concetta Sol, «era arrivata circa un anno fa da Marcianise dove aveva lavorato. Una maternità e ha avuto l’occasione di trasferirsi. Era iniziata una nuova vita per lei che era separata da un paio d’anni. Ma lui tornava sempre da “Arca”, per vedere i bambini e perché non si rassegnava di perderla. Lei però ammetteva che era un bravissimo papà e non voleva certo vietargli di vedere i ragazzi. Adesso ci ha tolto un pezzo di cuore questo assassino. Abbiamo acceso una candela davanti a casa nella notte, in suo ricordo. Io sono stata la prima ad arrivare a casa. C’erano le sue scarpe per terra, poi il corpo in camera, ma i carabinieri mi hanno fermata. “Arca” ci mancherà per sempre e adesso penseremo ai bambini, cercheremo di aiutarli. Se ci avesse detto di più della sua vita privata forse avremmo potuto fare qualcosa per aiutarla, perché l’azienda era per lei come un’altra famiglia».
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