«Mandiamo via i cigni dalle lagune»

Presa di posizione dei cacciatori: rovinano il territorio. La replica degli ambientalisti: forse si confondono con le nutrie
VATRELLA - DINO TOMMASELLA - JESOLO - CIGNI
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JESOLO. Via i cigni da lagune, barene e canali sul litorale della costa veneziana. L’ambito territoriale di caccia Venezia 1-Portogruaro interviene chiedendo con forza al presidente della Città metropolitana e ai sindaci della zona lagunare valliva il controllo di una specie invasiva quale il cigno nei territori di Jesolo, Eraclea, Caorle e Bibione. Il problema è che questi volatili sono proliferati da qualche esemplare di una decina di anni fa a oltre 1.500. Erano 608 nel 2014 nella sola laguna di Caorle e Bibione.

«Il cigno è un animale invasivo», spiega Luciano Babbo, presidente dell’ambito di caccia, «proviene dal Nord Europa, staziona tutto l’anno in queste zone lagunari, non migra più perché trova alimentazione abbondante nelle aziende faunistiche e tra le migliaia di turisti che danno loro il cibo. Specie possessiva e territoriale, una coppia non tollera altre specie nel raggio di 300-500 metri. L’avifauna non può sostare né nidificare nei loro territori. Inoltre, causano danni lungo barene e canali, pari o superiori al moto ondoso, con il loro becco utilizzato per alimentarsi. Nella barena con 30 o 40 centimetri pescano fino al fondale e con la bassa marea si raggruppano e, con il peso e le zampe costipano il terreno. Sono danni alla vegetazione al pari di una turbosoffiante. Una quindicina d’anni fa in Valle Vecchia avevamo un problema simile con i daini che avevano invaso l’area».

VATRELLA - DINO TOMMASELLA - JESOLO - CIGNI
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L’ambito suggerisce d’intervenire come per corvidi e gazze, riducendo la presenza drasticamente attraverso azioni mirate. Oggi i cigni sono animali splendidi da vedere, autentica attrazione per turisti e residenti che non di rado danno loro da mangiare invitandoli a raggiungere addirittura le spiagge, dove più volte sono stati fotografati, addirittura accanto ai pontili di Jesolo, con papà, mamma e intere nidiate. «Potrebbero essere catturati con le gabbie», aggiunge Babbo, «per spostarli e rieducarli a migrare con l’intervento dell’Ispra, istituto superiore prevenzione ambientale. Il problema è lo spostamento che sarebbe molto costoso per riportarli nei paesi di origine».

Il presidente dell’associazione naturalistica sandonatese, Michele Zanetti non è d’accordo. «Mi pare assurdo», replica, dice, «sono animali territoriali che, una volta preso possesso di un territorio riproduttivo, tratto di corso o specchio d’acqua, cacciano altri cigni e quindi resta una sola coppia. I cigni non aumentano e sono sempre gli stessi. Non si capisce il danno che causano. Forse si sono confusi con nutrie e gamberi della Louisiana. In qualche caso sono aggressivi con le nidiate di altri anatidi, ma solo se casualmente transitano vicini. È un allarme ingiustificato. Anzi, le deiezioni dei cigni sono appetite ad esempio dai cefali che possono poi riprodursi e non è vero che intorbidiscono le acque. Sono qui da quasi 40 anni e ben inseriti nel nostro ambiente. Non trattiamo, dunque, i cigni come dei profughi da mandare via: 1.500 cigni su 280 mila ettari del Veneto Orientale non sono certo tantissimi e non aumenteranno oltre questi numeri».

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