Mandala gigante di sale per il compleanno del Dalai Lama / FOTO

Cento artisti provenienti da tutta Italia hanno portato 20 kg a testa di sale colorato per festeggiare i 78 anni della guida spirituale del Tibet
VENEZIA - Il suo nome è stato cancellato dalle cartine geografiche, ma l’identità del Paese Tibet continua a vivere nelle persone che in tutto il mondo ne rivendicano la piena esistenza. Ieri, in occasione del compleanno dell’attuale XIV Dalai Lama, il monaco Tenzin Gyatso nato il 6 luglio del 1935, il «Padiglione Tibet» ha celebrato allo Spazio Porto i 78 anni di Sua Santità realizzando un gigantesco mandala fatto con 2000 chili di sale colorato e realizzato in loco da 100 artisti provenienti da tutta Italia. Il «Padiglione Tibet», sottotitolato «Il Padiglione per un Paese che non c’è (e che dovrebbe esserci)», ha ricevuto il patrocinio dal Comune di Venezia e il sostegno di numerosi sponsor, ma non è potuto rientrare per la seconda volta nei padiglioni ufficiali della 55. Biennale di Venezia in quanto l’Italia non ne riconosce l’esistenza. «Non lo chiamo evento collaterale – spiega il curatore, l’artista Ruggero Maggi – ma evento parallelo in quanto la Biennale di Venezia e il Padiglione Tibet stanno percorrendo due strade che un giorno spero si possano incontrare». Ieri pomeriggio intanto qualcosa è accaduto. Nello Spazio Porto, nel cortile della chiesa sconsacrata di Santa Marta, davanti alla laguna aperta e ai piedi di colossali grandi navi che, una dopo l’altra, mollavano gli ormeggi, cento persone vestite di bianco, per la maggior parte artisti, tutti diretti da Tiziana Tacconi, sono arrivati con 20 chili di sale a testa, trasportato nei modi più disparati. «Mi ci sono voluti due trolley– racconta l’artista Monica Gorini di Milano – e sono arrivata un giorno prima per colorarlo sulla spiaggia del Lido. Io e Gioia Aloisi abbiamo steso dei teli e abbiamo impastato per ore il sale con l’acrilico grigio. Abbiamo scelto questo colore per ricordare i 120 monaci che si sono immolati diventando cenere». Il pubblico, tra cui l’attore Giacomo del famoso trio, è rimasto incantato dalla bellezza dei colori e dal disegno che ha preso forma in quasi due ore. Il mandala rappresenta l’universo che comincia in un punto e poi si espande all’infinito. In genere appartiene al «rito dell’impermanenza» che prevede la distruzione finale dell’opera per dimostrare che anche quello che viene fatto con più amore si dissolve. In un certo senso però qualcosa permane. Il sale finale (in genere si usa marmo polverizzato) è stato infatti distribuito a mucchietti al pubblico per mantenere viva la memoria del Tibet. (info www.padiglionetibet.com)

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