Mala del Tronchetto, non fu mafia. I giudici citano Buscetta

Associazione molto pericolosa, ma non controllava il territorio: la Procura ricorrerà in Appello

Roberta De Rossi
Una delle udienze in aula bunker alla Mala del Tronchetto
Una delle udienze in aula bunker alla Mala del Tronchetto

Come si riconosce una mafia? L’aveva spiegato Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone: «Quando mi presento a lei, lei deve sentire il mio peso e deve sentirlo velatamente. Io non verrò mai a minacciarla, verrò sempre sorridente e lei sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Io non verrò a dirle: le farò questo. Se lei mi capirà, bene; se no, lei ne soffrirà le conseguenze».

Forza di intimidazione, assoggettamento, omertà. Sono (anche) le parole di Buscetta che i giudici del Tribunale di Venezia Stefano Manduzio, Giulia Caucci e Marco Bertolo hanno utilizzato nelle 1187 pagine di sentenza, per dire di non aver ritrovato nella “Mala del Tronchetto” di Gilberto Boatto, Paolo Pattarello, Loris Trabujo una mafia.

Per il Tribunale non bastano le precedenti condanne per associazione mafiosa degli oggi anziani (ma indomiti) Boatto e Pattarello, “gruppo dei Mestrini” a fianco di Felice Maniero nella Mala del Brenta, tra omicidi, rapine, spaccio.

Quello, per i giudici, è il loro passato, non il presente della Mala del Tronchetto: «La necessità di ricordare l’appartenenza alla Mala del Brenta per indurre i propri interlocutori a soddisfare i desiderata criminali, dimostra la mancanza di carica intimidatoria proveniente dal sodalizio e l’urgenza di servirsi dell’alone di intimidazione di un gruppo mafioso estinto, non avendone uno proprio».

La “cagnotta”

Mafia – comunque – avrebbero voluto esserlo Boatto&Co. , scrivono i giudici: «Tale era il proposito degli odierni imputati, quantomeno di Gilberto Boatto in accordo con Loris Trabujo, vale a dire quello di dare vita a una compagine che assumesse il controllo del turismo da diporto mediante l’imposizione della “cagnotta” agli impresari del settore e un ruolo monopolistico nel traffico della droga».

«Scolta. Tornemo come na volta, no? Impestemo tutta Venessia de roba, ah! », dice Boatto a Trabujo, intercettato dai carabinieri del Ros.

Il brand Mala del Brenta

Ma – ne è convinto il Tribunale – nonostante i molti reati commessi, le rapine, le estorsioni, le armi, i propositi di vendetta e di uccidere Maniero e altri ex-sodali, la Mala del Tronchetto non controllava il territorio né le sue vittime.

«Il settore delle estorsioni costituisce per certi versi il termometro della mafiosità di un sodalizio: tanto più un’associazione è in grado di esternare e conseguire un alone di intimidazione diffusa, tanto meno saranno necessarie azioni eclatanti, minacce o violenze per ottenere il pagamento di quanto indebitamente richiesto; laddove vi sia effettivamente un assoggettamento diffuso, salvo rari casi, il versamento del denaro agli emissari dell’associazione mafiosa avverrà quasi alla stregua del pagamento di una rata di un finanziamento, in automatico e con un rassegnato approccio di ineludibilità».

Boatto lo sa: «Quando hai il nome qual è la roba più importante? Basta solo fargli una minaccia e va a buon fine, capito? Se non ti conoscono neanche ti pensano». Ma così non sarebbe accaduto a Venezia. Estorsioni ci sono, ma ai vecchi trasportatori che la vera mafia di Maniero avevano conosciuto. «Trabujo aveva condiviso con il Boatto la constatazione per la quale le “nuove” generazioni non avevano la minima idea di cosa fosse stato il “gruppo dei Mestrini: «Ghe xè i veci che se ricorda, i giovani no sa un casso, ti capissi? », concordando con il Boatto sulla necessità di sfruttare la nomea della vecchia Mala del Brenta come una sorta di brand in grado di evocare gli antichi fasti e, per l’effetto, la capacità di incutere il vecchio timore».

Gruppo pericoloso, non mafia

«Badisi, la mancanza del connotato di mafiosità del gruppo criminale in parola non ne intacca minimamente l’elevato profilo di pericolosità», scrivono i giudici, «si è di fronte a un aggregato criminale che aveva a disposizione un cospicuo arsenale di armi a cui non aveva remore di fare ricorso per il compimento di atti delinquenziali ad alto impatto violento: su tutti, l’assalto all’abitazione di Magnanini, la rapina al check-point Avm o l’ingresso armi in pugno presso l’abitazione del Gobbo; l’associazione aveva delineato strategie per il compimento di gravissimi fatti di sangue e poteva contare sui buoni uffici del Boatto con ambienti di elevatissimo profilo criminale. Rimane il fatto che l’aura di mafiosità era rimasta in capo solamente al Boatto –e per certi versi, di riflesso, al Pattarello– senza trasferirsi sull’associazione come entità autonoma: i due, (. ..) una volta riacquistata la libertà erano immediatamente tornati a delinquere ad alti livelli, certificando il fallimento nei loro confronti della finalità rieducativa della pena». Ma non c’è stata omertà a proteggerli: molti hanno testimoniato, anche fra molti non ricordo.

Ricorso in appello

Ora il pubblico ministero Giovanni Zorzi potrà presentare appello. Nel caso degli imputati che avevano scelto il rito abbreviato, la Procura ha visto riconosciute le sue ragioni dalla Corte, che in appello ha ritenuto la “Mala del Tronchetto” una vera e propria mafia.

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