Maila, Anastasia e le altre: non è questo l’amore

Negli ultimi tre anni sei donne sono state uccise da uomini, solo nel corso del 2017 oltre mille persone si sono rivolte ai centri antiviolenza

IL DRAMMA

Maila voleva separarsi ma il marito era ai domiciliari e lei aveva acconsentito perché finisse di scontare la pena nella loro casa e poi se ne andasse. Anastasia, incinta al quinto mese, era stata tradita da un invito a cena da parte del prof d’inglese che si era invaghito di lei. Mariarca, napoletana, aveva deciso di ricominciare la sua vita a Musile dopo la separazione. Ma il suo ex aveva trovato lavoro a Jesolo e lei gli aveva aperto temporaneamente le porte di casa. E ancora Sabrina, prima accoltellata e poi freddata con un colpo di pistola dal marito, da cui voleva separarsi. Sonia, invece, era stata “tradita” dal figlio che voleva suicidarsi. Lei era intervenuta per fermarlo, aveva avuto la peggio. E Nelly, vittima della mattanza del vicino di casa che prima l’aveva finita a martellate, poi fatta a pezzi con la sega elettrica. Sei donne uccise in tre anni da uomini. Persone fidate, conosciute, nella maggior parte dei casi amate dalle stesse donne ma non corrisposte, in una provincia qual è quella di Venezia che vanta il triste primato del maggior numero di femminicidi in Veneto. Con il 2017 annus horribilis: tredici donne uccise da uomini nella nostra regione, quattro nel Veneziano: Anastasia Shakurova, 30 anni; Sonia Padoan, 76 anni; Mariarca Mennella, 38 anni; Sabrina Panzonato, 52 anni. Questo 2018, invece, è stato macchiato dalla morte di Maila Beccarello, 37 anni, uccisa a botte dall’ex marito.



«Lei ora è un angelo perché non aveva la forza di uscirne», scrive su Facebook un’amica di Maila per ricordare che oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Maila non aveva avuto la forza di denunciare e, quindi, di salvarsi. Come lei, chissà quante altre donne venete, le cui storie personali restano nel silenzio per anni, o anche per sempre. Farsi aiutare richiede coraggio, determinazione, voglia di rinascere. Lo scorso anno nella nostra regione sono state 3.107 le donne prese in carico dai Centri antiviolenza. Un terzo di queste (1.086) sono veneziane. Tante, tantissime. Come dire la popolazione di una piccola frazione formata da donne che scappano dai loro uomini. E che il fenomeno sia in crescita lo testimonia il dato del Centro antiviolenza di San Donà: 261 donne seguite nel 2016, lievitate a 510 nel 2017. Così il Veneziano stacca di gran lunga le altre province venete. Donne che nel 70% dei casi sono italiane, fra i 31 e i 50 anni, che hanno almeno il diploma di scuola superiore, lavorano e hanno figli. Donne vittime di violenze fisiche, sessuali e psicologiche, di ricatti economici e di stalking. Donne che difficilmente vanno in pronto soccorso (una su tre), evitando così che scattino gli accertamenti da parte delle forze dell’ordine, e che ancora più difficilmente denunciano (una su quattro). Quasi a voler proteggere ancora, nonostante tutto.



Una piaga del nostro tempo che non ha solo il volto delle donne uccise o maltrattate, ma anche delle vittime indirette. Sono i figli delle donne che spesso finiscono per essere testimoni innocenti della violenza esplosa tra le mura domestiche, costretti a subìre la cattiveria degli adulti, a diventare grandi prima del tempo. Come i figli di Mariarca, rimasti in un attimo senza la mamma e con il papà condannato in primo grado a 20 anni di carcere. O come i figli di Sabrina: il loro padre non aveva saputo reggere alla volontà della moglie di separarsi. L’aveva uccisa poi, con il cadavere ai suoi piedi, aveva puntato l’arma contro di sé. Lasciando al mondo due ragazzini orfani.

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