Mafia Mose dimenticata. Ora si parla solo dei profughi
VENEZIA. La parola Mose è sparita da molto tempo dai giornali e dalle tv e di conseguenza dai discorsi delle persone, sostituita dalla parola profughi. Era già successo in campagna elettorale, quando lo scandalo più grosso degli ultimi vent’anni è stato surclassato, oltre che dal problema profughi, anche dai referendum per l’autonomia e l’indipendenza del Veneto. Con il bel risultato che si è visto: un nobile argomento di cui nessuno parla più, esclusi l’avvocato Mario Bertolissi che se ne occupa per lavoro e il suo collega Alessio Morosin per vocazione. Una meteora.
Peggio: una foglia di fico, che la classe politica veneta tira fuori ogni volta che deve coprire realtà scomode. Aiuta a scantonare. Perfino di Mafia Capitale si parla molto più che dello scandalo Mose. Non a Roma, dove si spiegherebbe, ma in tutta Italia, dove si spiega meno. Il «fatturato criminale» di Mafia Capitale con annessi e connessi va poco oltre 100 milioni di euro, se non abbiamo capito male: il Consorzio Venezia Nuova ne distribuiva 100 all’anno in tangenti, sovrafatturazioni, finanziamenti ingiustificati, sprechi. Ed è andato avanti per dieci anni. Un miliardo in totale.
Curioso che Confindustria nazionale si sia costituita parte civile nei confronti di Mafia Capitale mentre Confindustria Veneto non ha fatto altrettanto per lo scandalo Mose. Un’altra foglia di fico? La cosa andrebbe approfondita. Tutto invece resta nascosto dalla parola profughi, l’unica che tiene banco. Non solo per la paura ancestrale del diverso, per l’ingenua assurda pretesa di fermare un fenomeno epocale vietandolo. O anche sparando. I profughi arrivano perché altri sparano loro addosso, non hanno niente da perdere e continueranno a venire. Ma più di tanti, in condizioni decenti, non ce ne potranno stare. C’è l’impenetrabilità dei corpi, c’è l’insopportabilità ambientale. E ci sono i costi che il sistema Paese deve sopportare per ospitare, anche solo provvisoriamente, questa umanità allo sbando.
Questioni concrete, la demonizzazione non c’entra. L’Italia paga fino a 35 euro al giorno per profugo ospitato. Ne è nata una canea, come se i 35 euro finissero nelle tasche dei profughi, mentre in realtà vanno agli italiani che siglano la convenzione per ospitarli, dunque tornano in circolo nell’economia spicciola del Paese. Al profugo restano due euro e mezzo al giorno. Non sono neanche tutti soldi italiani. In gran parte provengono da un fondo europeo. Resta il fatto che nel maggio 2011, in un momento di massima pressione migratoria, la Fondazione Moressa di Mestre aveva stimato un costo-profughi nel Veneto pari a 100.000 euro al giorno (base 40 euro a persona).
Siete impressionati? Facciamo un confronto con lo scandalo Mose: in 10 anni il Consorzio Venezia Nuova ha fatto sparire un miliardo di euro, destinandolo al «fabbisogno sistemico», come lo chiamava l’ingegner Piergiorgio Baita. Significa 280.000 euro al giorno, sottratti incessantemente, per dieci anni, non all’Unione europea ma alle tasche dei veneti. E non solo da Piergiorgio Baita ma da una compagnia di giro imperniata sull’ingegner Giovanni Mazzacurati che arrivava ai ministeri romani, coinvolgeva magistrati, avvocati, commercialisti, grandi manager, ex ministri, personaggi dell’alta finanza, militari. La crema delle professioni liberali. L’ossatura dell’organizzazione sociale del nostro Paese. Quelli che ci dicono che dobbiamo rispettare le leggi, i primi corrotti.
Quel denaro non è tornato in circolo nell’economia spicciola del Paese. Per la maggior parte è finito su conti privati. Ecco perché 280.000 euro al giorno, rubati per 10 anni tutte le mattine, all’insaputa dei contribuenti, fanno meno rumore di 35 euro stanziati alla luce del sole per ogni profugo. Una gigantesca operazione amnesia avvolge la vicenda Mose. Conviene a troppi.
A rompere il silenzio arrivano solo le interviste negazioniste di Giancarlo Galan, che rinchiuso a Villa Rodella non ce la fa a stare zitto. Bisognerebbe ringraziarlo per i rischi che corre ogni volta che parla. Già si è dato la zappa sui piedi con la Cassazione, che gli ha anticipato l’udienza sul ricorso contro il patteggiamento vanificando i termini della carcerazione preventiva. Così è rimasto agli arresti. Non contento, ha fatto sapere che con i 5.000 euro che la Repubblica continua a passargli, al posto dello stipendio intero di 12.000 da parlamentare, non riesce a pagare la bolletta dell’Enel e deve tener spento il condizionatore. Per fortuna che s’è messo a piovere. Il tempo, almeno quello, si è rotto.
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