Maestra morta di tumore, sbagliò l’Asl: eredi risarciti
CHIOGGIA. Il dolore rimane inciso nel cuore di chi ha amato e continua ad amare Elisabetta Passarella, maestra rapita ai suoi cari nell’ottobre 2012 da un tumore diagnosticato in ritardo nella sua gravità. La vittoria della battaglia legale contro l’ospedale di Chioggia, datata 14 aprile scorso, non ha certo toni trionfali. Anzi. Il risarcimento che ha chiuso la causa con l’Asl 14, non cancella la sofferenza del marito Alessandro e del figlio Federico. «Non c’è riconoscimento economico», dicono, «che possa lenire il dolore che portiamo noi che l’amavamo e l’amiamo. Il desiderio è solo quello di una costruzione, della possibilità che il domani sia migliore. Per questo ci attendiamo e auspichiamo che i responsabili intervengano affinchè in futuro non si ripetano più questo e altri errori e soprattutto che non vi sia la faciloneria da noi, purtroppo, riscontrata nell’affrontare situazioni così delicate».
Parole forti che svelano quanto sia dura la vita senza Betty. Era il 23 gennaio 2011 quando la maestra si era rivolta al Pronto soccorso dell’ospedale cittadino per un forte dolore addominale. Era l’inizio del suo calvario. Accertata la presenza di una strana massa era stata ricoverata in Ginecologia. Qualche giorno dopo era stata dimessa in attesa dell’intervento chirurgico programmato di lì a poco. Il successivo 2 febbraio era entrata in sala operatoria. Quindi il ritorno a casa con la prescrizione di semplici visite di controllo. Elisabetta, non del tutto convinta, aveva chiesto un consulto all’istituto di Anatomia Patologica di Padova, che rilevava quanto la dignosi dell’Asl 14 fosse stata affrettata. Il male si stava estendo e così nell’aprile l’inizio delle chemioterapie al Cro di Aviano con ulteriori interventi chirurgici.
Subito la convinzione di Betty e dei suoi cari che dietro a quel calvario ci fosse stato un errore medico. E conseguente l’avvio di un’azione legale assistiti dagli avvocati Matteo Mion e Carlo Bighin. «Lei», ricorda il marito Alessandro Doria, «all’inizio era restia a intraprendere le vie legali, ma, in seguito, ha realizzato che mentre l’errore si può perdonare, la superficialità e il pressapochismo no. Così faticosamente ha iniziato l’azione legale, consapevole che non le sarebbe stato possibile vedere l’esito di tale sforzo ma speranzosa di un’utilità e di un riconoscimento positivo di questa vicenda. Ora abbiamo ottenuto, anche per lei, il riconoscimento da parte dell’ospedale che ha effettuato l’intervento errato pregiudicandole le aspettative di vita».
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