Lutto alla "Nuova", è morto il giornalista Claudio Cerroni

MESTRE. Claudio è volato via. Leggero. Con il sorriso tra le labbra e lo stupore di un bambino. È volato via salutando tutti, come nel disegno che pochi giorni fa lui stesso ha realizzato con una biro dal letto di ospedale, per salutare i suoi ragazzi. I funerali di Claudio Cerroni si terranno giovedì 22 gennaio alle 10.45 nella chiesa di Sant'Alberto Magno, in via Marconi, Città Giardino a Padova.
Il cuore malandato di Claudio Cerroni ha smesso di battere all’improvviso sabato sera.
Dopo l’ennesima battaglia. Dopo l’ennesimo calvario. Dopo i numerosi alti e bassi che hanno fatto piangere, pregare e sperare le decine di amici costantemente informati via whatsapp per tre settimane da parte della moglie Silvia Giralucci, che gli è rimasta accanto fino all’ultimo. Claudio, 54 anni, mestrino di nascita, padovano d’adozione, era ricoverato in ospedale a Padova da prima di Natale. Il suo non era un quadro clinico semplice. Afflitto da una malattia autoimmune, aveva subito nel corso di questi anni due trapianti di reni (il primo da parte della sorella). Non solo: era stato ripreso per i capelli dai medici dopo un’improvvisa dissezione dell'aorta e si era ristabilito da tali e tante magagne che anche dopo questo ricovero i più avevano pensato: vedrai che ce la farà. Come aveva sempre fatto fino a ora. A modo suo. Trasformando ogni singolo dramma in una storia da raccontare, in cui il lato comico prevaleva quasi sempre.
Come quella volta in vacanza con la famiglia in Islanda (oltre alla moglie Silvia, Claudio lascia due figli piccoli di cui era orgogliosissimo, Vittorio e Alessandro), che era stato ricoverato in isolamento in ospedale e ascoltandolo pareva di sentire un racconto tratto da «Matrix Reloaded». Anche stavolta chissà cosa ci racconterà, avrà pensato qualcuno. Invece ci ha lasciati tutti orfani anche delle sue parole. «Se n’è andata una delle persone più care e perbene che io abbia conosciuto» ha scritto in dolorosissimo sms Carlo Mion, nerista della Nuova Venezia, suo amico ed ex collega (da quindici anni ormai Claudio era uscito dal gruppo Finegil ed era diventato responsabile per il Veneto dell’Agi, l'Agenzia giornalistica Italia).
Claudio e Silvia erano una bella famiglia. Solida. Sorprendente. Stimolante. Entrambi giornalisti, si erano conosciuti al mattino di Padova nella prima metà degli anni Novanta. Lui lavorava nel settore Cultura e spettacoli, lei si stava affacciando alla professione. Dopo quell’esperienza, Claudio era arrivato alla tribuna di Treviso dove con Paolo Coltro e Luigi Carrai aveva retto (da vicecapo) la cronaca. Alla Nuova Venezia, invece, era cresciuto (fu assunto, proveniente dal mondo delle tv): con Filippo Tosatto, Riccardo Roccato, Fiammetta Cupellaro, Claudia Fornasier, Nicola Pellicani, Curzio Pettenò e molti altri aveva lavorato per il radicamento dell’allora nuovo quotidiano che ha da poco compiuto trent’anni.
E proprio mentre lavorava alla Nuova Venezia ebbe le prime avvisaglie di un male che lo ha consumato lentamente. Colpito da una nefrite, Claudio, infatti, rimase a casa un lungo periodo, durante il quale probabilmente maturò l’idea di chiedere di svolgere una mansione meno stressante. Non era cascato male: lettore originale, cultore del pensiero laterale, amante della musica (era onnivoro), quasi feticista per quanto riguarda le scarpe rigorosamente british, Claudio era curioso di tutto. Culturalmente vivace, restituiva al mondo le sue curiosità con una leggerezza che sorprendeva sempre. Amava ridere. Amava far ridere. Gli veniva naturale. Era di una simpatia contagiosa. Una simpatia discreta. Mai visto urlare, mai visto fuori posto.
Un mite dal cuore d'oro e una testa da 24 carati. Racchiusi in un corpo minuto, che la malattia ha spezzato ma non piegato. Anche perché dopo il secondo trapianto di rene arrivato quando loro stessi quasi non ci speravano più e che - a differenza del primo - aveva restituito parte della serenità, sembrava che le cose potessero soltanto migliorare. Invece era ricominciata la corsa a ostacoli. Claudio e Silvia erano anche una bella coppia. Lui, talvolta, parlava di lei come se dovesse badare a un terza figlia piccola. Ma ne parlava con rispetto. Con amore. Silvia era indubbiamente il suo punto di riferimento. Irrequieta, geniale, generosa, testarda, Silvia gli è stata accanto fino all'ultimo, portando addosso un fardello non indifferente. Collante e motore della famiglia, Silvia, figlia di Graziano Giralucci, freddato dalla Brigate Rosse a Padova nel 1974 quando lei aveva appena tre anni, non si è mai persa d'animo e, fino a poco prima di Natale, lei, Claudio e i figli avevano vissuto un'esistenza per quanto possibile normale.
Reggendosi l’un l’altra e continuando a pianificare nonostante l’andatura a scartamento ridotto di lui e gli impegni di entrambi, tra figli, la casa a Città Giardino a Padova, conferenze, medicine, libri e articoli da scrivere, vacanze da pianificare, la spesa da fare, docufilm e dialisi notturne. Ma entrambi avevano spostato l’asticella più il là. Perché insieme non erano mai soli. Anche se ultimamente, Claudio una piccola crepa l’aveva fatta intravedere, nonostante avesse deciso di provare una nuova esperienza: cantare nel coro fondato da Alberta Pierobon, sua collega e amica. Al funerale di un collega in pensione, qualche mese fa, aveva mostato un po’ di rassegnazione per i continui - troppi - malanni che lo perseguitavano. Come quando dovette rinunciare alla moto (un’altra delle sue grandi passioni), perché fisicamente non se la sentiva più. In quel frangente fu bravo a cambiare immediatamente registro. Sembra quasi di sentirlo: come quando si inseriva con quel “fioi” che sovente preannunciava una battuta. Che stavolta non arriverà. Perché volata via con lui.
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