Luci spente al Prisma «Siamo schiacciati dal sempre aperto»

Santa Maria di Sala. La protesta dei piccoli commercianti Sette le botteghe rimaste al buio: la nostra non è più vita
Di Filippo De Gaspari

SANTA MARIA DI SALA. Gli ori della gioielleria non luccicano nelle teche spente e in vetrina le lenti dell’ottica quasi non si vedono. La bottega di quadri sembra un atelier vuoto e al negozio d’abbigliamento è difficile leggere perfino le etichette di maglie e pantaloni. Al centro commerciale Prisma domenica, con i piccoli negozi aperti, ma a luci spente, per la prima giornata di protesta contro le aperture festive forzate. Da fuori l’impressione è quella di una grande serrata. Proprio quella che vorrebbero tanto fare i titolari, ma che gli è impedita, pena pagare multe da 1200 euro a chiusura.

Clima pesante e surreale al centro commerciale. I clienti, di fronte a negozi al buio, chiedono quasi il permesso per entrare: «Scusi è aperto?». Tanti però tirano dritto. D’altronde una vetrina scura equivale a dire: chiuso. Può dirsi riuscita la giornata di protesta dei piccoli commercianti della galleria sulla Noalese. Clienti pochi e tutti diretti ai grandi magazzini, loro sì, con luci accese, musica di sottofondo e perfino sconti. La guerra si intravede già nel grande parcheggio esterno: un camion-vela e grandi cartelloni promuovono lo sconto del 15% sulla merce dell’emporio di casalinghi, a fianco dà nell’occhio però il manifesto giallo di protesta dei piccoli negozianti: «Diciamo no». No alle aperture domenicali selvagge, no ai costi, no al sempre minor tempo da dedicare alle famiglie.

«A una certa età non avrei pensato di tornare indietro», spiega Gianni De Gaspari, titolare dell’omonima gioielleria, «ho lottato per anni, da operaio, per ridurre l’orario di lavoro. Arrivo al 2014, da commerciante, ancor più schiavizzato. Pensi che sia meglio mollare, poi ti chiedi come fai a vivere e allora continui: ma ditemi se è vita. Ormai di domenica chiudono i centri urbani per smog e aprono i centri commerciali per gli acquisti: la politica va al rovescio». «Ci si dimentica che noi piccoli imprenditori siamo la parte che il cliente preferisce: con lui parliamo, diamo consigli, non guardiamo solo al profitto», aggiunge Otello Calzavara, dell’ottica Erika, «ma quelli che abbiamo visto oggi (ieri ndr) sono gli stessi clienti di una domenica a luci accese. Pochi. In pratica ci costringono a stare qui per non lavorare». «Potevamo scioperare con cartelli, bloccando tutto, rischiando multe salate», afferma Andrea Pantano, Lei&Lui abbigliamento, «così invece abbiamo anche sensibilizzato. Poco fa un cliente si è scusato per aver fatto la spesa, dopo che, mentre gli battevo lo scontrino, gli ho spiegato i motivi del negozio al buio. Un’altra mi ha chiesto cosa può fare per aiutarci». Per Serena Gottardo, di Arte e Cornici: «Nel mio lavoro serve concentrazione, che non riesco più ad avere. Perché non riposo. Quando lo faccio? Lavoro con opere d’arte, ho bisogno anche di tempo per partecipare a fiere ed esposizioni e non mi è possibile, perché non ho nessuno a cui lasciare il negozio. Non posso assumere commesse a cottimo, non vendo frutta, serve conoscenza del prodotto». Anche il bar del Prisma aderisce al black-out volontario, anche se qualche luce deve rimanere accesa per fare i caffè: «Siamo anche un servizio», spiega la titolare Catia Muffato, «ma siamo io e mio marito a gestirlo e se vogliamo darci i turni per non stare sempre qui dietro il bancone, finisce che non abbiamo più tempo per stare insieme».

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