L’OPINIONE / Grandi navi, la tragedia veneziana e il silenzio del Pd
VENEZIA. Tragedia o tragicommedia? Ma chi mai potrebbe consentire che navi di 330-350 m. di lunghezza, 40-50 di larghezza, 60-70 di altezza attraversino gli spazi acquei interni a una delle città più belle del mondo? Per di più inquinando, modificando l’assetto idraulico, rischiando una catastrofe umana e artistica incomparabili? Eppure succede a Venezia ormai da qualche anno! La questione è così paradossale che alla fine, dopo un ampio clamore mediatico, dopo la denuncia di mezzo mondo, dopo le azioni di protesta organizzate dal Comitato “No Grandi Navi–Laguna bene comune”; finalmente si è svolto un incontro al Ministero delle Infrastrutture, per decidere il da farsi… Che poi sarebbe: in quale altro angolo della laguna mettere questi mastodonti marini e come fare per farceli arrivare?
In realtà la paradossale vicenda del passaggio delle grandi navi crocieristiche per il bacino di San Marco è l’ultimo atto (per ora) di una storia che comincia con la realizzazione del porto industriale di Marghera sul bordo (interno) della laguna e il conseguente progressivo imbonimento (distruzione) di più di 1400 ha. di velme, canali e barene. A quel porto bisognava arrivarci e così, nei primi anni ’70, si decise: basta, le petroliere (!) non devono più passare per il bacino di San Marco (sic!); per servire il “Polo Chimico” facciamo il “Canale dei Petroli”, un bel rettifilo di 6 km., scavato a -12,50 e largo 80-90 m. tra bocca di porto di Malamocco e bordo interno della laguna: fu così che l’area centrale di questa, che aveva una profondità media di 15-20 cm., in pochi anni è diventata un braccio di mare continuo con 150-200 cm. di profondità, con conseguenze stranote in termini di correnti, di erosione di altri ambiti lagunari e di acque alte.
Questo sembra ora il modello di riferimento assunto dai vari interlocutori (Sindaco, Autorità portuale, Magistrato alle acque, armatori) nel recente incontro romano: per non far passare le grandi navi per il bacino di San Marco, nuovi canali, nuovi scavi, nuova distruzione dell’ambiente lagunare. Le divergenze sembrano stare tutte lì.
E’ a tutti noto come Venezia viva da sempre in un complesso rapporto di simbiosi “attiva” con la laguna: questa ne rappresenta per molti versi la condizione esistenziale. Per più di mille anni un’incessante opera di sorveglianza e di correzione dei fenomeni trasformativi naturali e antropici ha avuto come obiettivo la tutela delle connotazioni idraulico-morfologiche lagunari, assieme alla conservazione della sua funzione portuale. La stagione “industrialista” e il suo porto hanno via via rinnegato quel rapporto diventando sempre più elemento di contraddizione e di conflitto, fino all‘attuale diapason: con il crescere del traffico marittimo, con il gigantismo delle navi, con i mutamenti climatici in corso, continuare nella logica novecentesca vuol dire assumersi la responsabilità di scegliere di trasformare la laguna in un braccio di mare, magari conservando in spazi recintati alcuni reperti lagunari. Con ciò che ne conseguirà per l’arcipelago e per la città in termini di devastazione paesaggistica e ambientale, di squilibri idrodinamici, di dissesto fisico.
Ora l’unica alternativa è quella di ripensare all’organizzazione portuale per consentire l’accesso in laguna solamente alle navi “compatibili” con i suoi fondali e con la sua morfologia, riprendendo la millenaria opera di “conservazione dinamica” di questo luogo unico e fragile.
Ci troviamo dunque di fronte a un classico caso in cui il confronto politico non è più tra scelte “tattiche”, bensì deve muoversi entro un orizzonte strategico di lungo periodo.
Questa è, paradossalmente, anche l’unica alternativa per conservare un’attività portuale a Venezia, a fronte dei mutamenti climatici e dell’innalzamento dei livelli del mare: quando le paratoie del Mo.Se dovranno essere alzate così di frequente contro l’acqua alta da mettere in crisi il traffico marittimo delle maxi-navi. Allora, a una laguna e una città devastate si aggiungerebbe la crisi produttiva e occupazionale.
In queste contingenze l’unica forza attiva, propositiva di azioni e di idee, è stata la gente appassionata dei comitati ambientalisti e in primo luogo del Comitato “No Grandi Navi - Laguna bene comune”. Con qualche appoggio di Rifondazione e delle componenti “rosso-verdi”. Silenzio assordante da parte del PD: non una manifestazione d’interesse per le proposte o le iniziative del Comitato, non una discussione e un confronto pubblici sul tema, totale allineamento con le posizioni espresse dal Sindaco (mah?).
E questa sarebbe la forza politica che, dopo il “successo” delle amministrative, crede di potersi candidare alla direzione del Veneto? Senza lo straccio di un’idea “strategica” sul destino della sua capitale e del suo ruolo nella prossima Città Metropolitana? C’è una bella differenza tra occupare il potere per la debolezza degli altri e conquistarlo per propri meriti.
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