L'OPINIONE / Di turismo si può morire: alla ricchezza mancano le regole
VENEZIA. Si può morire di incidente andando in gondola? Sembra un assurdo, ma nella Venezia assediata dal turismo e soffocata da un traffico ormai insostenibile è successo anche questo. È la prima volta che un turista perde la vita per un incidente a bordo di quella che oltre ad essere la barca più famosa al mondo era anche considerata la più sicura. Ma i tempi cambiano. La mancanza di regole e freni al business del turismo ha prodotto una situazione esplosiva. Che i più sensibili difensori dell’ambiente denunciano da tempo. Ma che adesso, con la tragedia del povero cittadino tedesco schiacciato dal vaporetto, riprende attualità. Della straordinaria delicatezza di Venezia, città-miracolo nata sull’acqua dagli equilibri fragili, ci si accorge solo all’indomani delle grandi catastrofi. Fu così nel 1966, con l’alluvione, poi negli anni Ottanta con i morti di Marghera e l’inquinamento, le alghe i petroli, l’incendio della Fenice. E mentre il dibattito nazionale si concentra sulle grandi navi, le “piccole navi”, un tempo familiari alla città si stanno trasformando in pericolo. Non è più soltanto questione di “moto ondoso”, ma di un traffico ingovernabile - e ingovernato - con migliaia di passaggi al giorno nella via d’acqua più famosa del mondo, dove le regole le stabiliscono i più forti.
Una legge regionale consente ad esempio ai taxi di svolgere al tempo stesso attività di noleggio. Così chi crede di salire su un taxi si trova alla fine a contrattare la corsa. Le “carovane” con microfono lungo il Canal Grande hanno libero accesso invocando il “servizio pubblico”. In realtà si tratta di torpedoni - barche da 14 persone - noleggiate ai turisti. Prima conseguenza, l’occupazione di spazio prezioso sottratto ai servizi pubblici. Di una città “finita” e non modificabile nella sua estensione, dove il Canal Grande, la via principale, era nato per ospitare barche a remi e a vela, oggi è violentato da oltre cinquemila passaggi in un giorno. Di barche sempre più grandi, sempre più veloci, sempre più inquinanti.
Di chi è la colpa dell’incidente? Non del povero gondoliere, tantomeno del pilota Actv costretto alla retromarcia dalla babele di barche davanti a lui. Forse quella delle barche a remi o delle barchette dei veneziani - ormai sempre più rare e tartassate da regolamenti assurdi - o forse quella del povero turista, che non si era prima informato dei rischi che si possono correre a salire in una gondola. Adesso dopo il morto qualcosa succederà. I riflettori del mondo si accenderanno e tutti si chiederanno - come già per le grandi navi - come sia possibile che a Venezia sia permesso ai “Tir” e ai torpedoni d’acqua carichi di turisti di arrivare fin nel cuore della città storica. Il turismo è una ricchezza, ma le regole le deve fare l’autorità pubblica. Ascoltando tutti ma decidendo da sola per il bene collettivo. Nella città storica devono avere libero accesso i vaporetti di linea (ecologici e riorganizzati), i taxi (veri), le barche del trasporto merci (non troppo grandi), le barche a remi e le barchette a motore. Gli altri fuori. Altrimenti tra poco saremo qui a piangere un’altra disgrazia annunciata.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia