L’ombra della mafia in Veneto, arrestato l’ad Fip: «Legato ai clan»
VENEZIA. L'amministratore delegato della Fip di Padova, Mauro Scaramuzza, e Gioacchino Francesco La Rocca, figlio del capomafia detenuto «Ciccio», sono stati arrestati dai Carabinieri, assieme ad altri tre indagati, nell'ambito di un'inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la «variante» Caltagirone. Nei loro confronti i militari dell'Arma hanno eseguito un ordine restrittivo del gip su richiesta della Dda della Procura di Catania, che ipotizza, a vario titolo, i reati di di associazione di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni e concorso esterno in associazione mafiosa.
Dalle indagini dei carabinieri sarebbe emerso l'interesse della storica «famiglia» mafiosa di Caltagirone dei La Rocca, legata a Cosa nostra, nell'esecuzione dei lavori. Secondo l'accusa, la cosca avrebbe agito affinché venissero dati in subappalto a ditte direttamente controllate dal clan con contratti artificiosamente frazionati in modo da eludere la normativa antimafia, percependo così un indebito profitto mediante l'ottenimento di finanziamenti pubblici. Tra gli arrestati c'è Scaramuzza, ad della Fip di Padova, impresa di rilevanza internazionale, aggiudicataria dell'appalto (insieme alle società L&C unite in associazione temporanea di imprese) che secondo la Procura era «consapevole di apportare il contributo al clan La Rocca». Nel corso dell'operazione i carabinieri hanno sottoposto a sequestro preventivo due società.
Gli arrestati dell'operazione. È stata denominata "Reddita viae" l’operazione portata a termine dai carabinieri di Caltagirone, su disposizione della Dda etnea. In manette sono finiti Gioacchino Francesco La Rocca, 42 anni, figlio del boss "Ciccio"; Giampietro Triolo, 53 anni; Gaetano Triolo, 42 anni; Achille Soffiato, 39 anni e Mauro Scaramuzza, 55 anni. Per loro l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, sub appalto irregolare, concorso esterno in associazione mafiosa.
Le infiltrazioni del clan. Le infiltrazioni mafiose del clan "La Rocca" riguarderebbero, secondo quanto accertato dagli investigatori, i lavori di costruzione della strada statale 683 Licodia Eubea-Libertinia nei territori di San Michele di Ganzaria e Caltagirone. Le indagini hanno permesso di accertare che il primo stralcio dell’appalto "Variante di Caltagirone" sarebbe stato aggiudicato per 111.819.091 euro all’Ati, l’associazione temporanea d’impresa, Fip di Padova, L&C di Alcamo e Tecnoloavori di Palermo. L’Ati avrebbe intrattenuto rapporti personali e commerciali con Gioacchino Francesco La Rocca, componente della famiglia mafiosa calatina. Scaramuzza avrebbe affidato lavori importanti in sub appalto a società controllate dalla famiglia mafiosa. Soffiato e Scaramuzza, avrebbero, invece, ingiustificatamente e senza alcuna documentazione, frazionato i contratti di sub appalto per eludere le certificazioni antimafia.
Subappalti a imprese mafiose per garantire "pax" nel cantiere. Secondo quanto emerso dalle indagini degli inquirenti i vertici della Fip (l'amministratore Scaramuzza e il responsabile del cantiere Soffiato) avrebbero dimostrato di essere ben consapevoli di attuare uno stratagemma finalizzato a consentire alle società (che sanno essere controllate dalla famiglia mafiosa dei La Rocca) di entrare nella spartizione dei lucrosi sub-appalti al fine di avere garantito dalla stessa organizzazione mafiosa quella "pax" nel territorio che non avrebbe pregiudicato l’avanzamento del cantiere.
I legami tra la Fip e il Mose. L'amministratore delegato della Fip, Mauro Scaramuzza, è residente a Mestre. L'azienda è l'aggiudicatoria dei lavori di costruzione delle cerniere che "legano" le grandi paratoie mobili che costituiscono il Mose. Presidente della Fip (non toccata dall'inchiesta catanese) è Donatella Chiarotto, sorella di Gianpaolo, amministratore delegato della "nuova" Mantovani, la società del post "caso Baita".
La denuncia di Report e l'interrogazione di Caccia. Il ruolo della Fip nell'appalto del Mose ed i legami con la Mantovani sono stati oggetto di un inchiesta del programma televisivo "Report" andata in onda il 27 maggio 2012 e ripresa poco dopo da un'interrogazione in consiglio comunale di Beppe Caccia. Ecco il testo della denuncia: "A proposito del cruciale e delicatissimo problema di natura ingegneristica relativo alla realizzazione delle cosiddette “cerniere” che dovrebbero garantire la connessione tra le paratoie delle dighe mobili e i relativi cassoni di alloggiamento, ben tre autorevoli testimonianze (quelle del già Presidente del Magistrato alle Acque Ing. Maria Giovanna Piva, del già componente del Comitato Tecnico di Magistratura Ing. Lorenzo Fellin, Professore ordinario di Impianti elettrici per l’energia presso l’Università di Padova, e di un anonimo Ingegnere progettista dello stesso Consorzio Venezia Nuova) denunciavano come le scelte realizzative (cioè a favore di “cerniere” in acciaio saldato, ad opera della società FIP controllata dalla Mantovani SpA, socio di maggioranza dello stesso CVN, piuttosto che in acciaio fuso come inizialmente previsto) operate dal Concessionario unico e avallate dallo stesso Magistrato alle Acque non garantiscano affatto che tale decisiva componente tecnica di funzionamento del cosiddetto Mo.S.E. sia in grado di assicurare adeguatamente “tenuta e funzionalità” dell’intero sistema e, quindi in ultima analisi, le migliori condizioni di sicurezza possibili per la Laguna e la Città di Venezia".
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