Lo squero di Tramontin a Venezia torna a vivere. Via ai lavori per una nuova gondola

L’allievo Matteo Tamassia e la figlia del fondatore, Elena, riaprono il cantiere. Primo cliente, Marco Pellizzaro detto «Bombo»

VENEZIA. Lo squero Tramontin torna a vivere. Il silenzio e il dolore dopo la morte di Roberto, ultimo erede della famiglia di squerarioli più famosa della città, hanno aperto la strada alla continuità della tradizione. Da qualche giorno nello storico squero degli Ognissanti si è ripreso a lavorare. Merito della figlia di Tramontin, Elena, che si è rimboccata le maniche e ha deciso di non sospendere l’attività. Affidando la continuità del brand a Matteo Tamassia, maestro d’ascia che da cinque anni collaborava con Tramontin e realizzava parti importanti della gondola.

Merito anche di un gondoliere coraggioso, Marco Pellizzaro detto «Bombo», dello stazio Danieli. Lui non ha avuto dubbi e ha affidato l’incarico di costruire la sua nuova gondola proprio a Tamassia. L’ultima era stata varata il 21 luglio scorso. Poi la malattia di Roberto si era aggravata. E tutto si era fermato.

Adesso si volta pagina e si riparte. Lo aveva promesso tra le lacrime Elena, insieme alla sorella Elisabetta, il giorno del funerale nella gremita chiesa dei Carmini, venti giorni fa. Adesso il sogno si realizza. «Sono molto contento», commenta Pellizzaro, «avrò una gondola bellissima, perché Tamassia è molto bravo. E do una mano a mantenere la tradizione».

Matteo Tamassia, 47 anni, è nato a Firenze, ma si è trasferito giovanissimo a Venezia. Allievo di Franco Crea, campione del remo e decano degli squerarioli, si è messo in luce per la costruzione di barche tipiche veneziane come la batela a coa de gambero, commissionata dalle donne di Row Venice. Da quattro anni è entrato nel tempio della gondola, lo squero dei Tramontin. Da lì, nella sede della premiata «Tramontin e figli» sono state sfornate migliaia di gondole, a partire dalla fine dell’Ottocento. Scafi particolari, le «Ferrari della laguna», le chiamano i campioni. Dove la fattura pregevole si riconosce a vista. Sapienza antica nel modellare i legni, nel prenderne le misure con le unità in voga nella Repubblica Serenissima, il piede veneto, le once, un dodicesimo di piede.

Ogni barca costruita secondo il peso del gondoliere, adatta a scivolare lenta nei rii ma anche a essere vogata con potenza da un solo vogatore. Un’arte che i Tramontin si sono tramandati di padre in figlio, e che rischia di andare perduta. Sempre meno sono i maestri in città, pochi gli allievi, anche se Crea ne ha allevato qualcuno che adesso lo aiuta nel cantiere della Giudecca.

Ma l’obiettivo, che gli Artigiani inseguono da tempo, è quello di creare una scuola stabile di allievi costruttori di barche. Ne stanno parlando in questi giorni le associazioni di categoria con il segretario della Confartigianato Gianni De Checchi. Magari contando su un aiuto da parte del Comune. Non finanziamenti, ma incentivi e disincentivi per chi sceglie di costruirsi una barca in legno abbandonando la plastica. Anche così si aiuta la città a sopravvivere.

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