Lo sguardo indomito di Tiziano Terzani
di Nicolò Menniti-Ippolito
La migliore spiegazione è nelle parole della moglie, Angela Terzani Staude: «Tiziano era fiorentino, certo, e un fiorentino convinto, ma per qualche recondita ragione gli era stato messo un nome veneziano per eccellenza. E poi, esattamente come i viaggiatori veneziani che tanto lo affascinavano, anche lui aveva passato l’intera vita adulta in Asia. Fili lunghi e misteriosi sembravano legare questo fiorentino alla città della laguna». Fili che hanno fatto sì che l’archivio di Tiziano Terzani finisse all’Isola di San Giorgio, alla Fondazione Cini, che è diventata custode di una grande quantità di materiali del giornalista e scrittore, tra cui le fotografie, gli scritti, soprattutto la biblioteca, perché Terzani – dice sempre la moglie – «voleva che i suoi libri rimanessero tutti assieme, che non fossero dispersi ai quattro venti, perché quei libri erano stati i suoi maestri e amici, erano stati lui».
È da questo archivio che è uscito l’ultimo libro di Terzani, intitolato “Guardare i fiori da un cavallo in corsa” (Rizzoli-Fondazione Cini, p.320, 35 euro). Curato da Alen Loreti il libro, in gran parte costruito con materiale fotografico, racconta la vita di Terzani, recupera alcuni dei suoi storici articoli, mette insieme testimonianze raccolte nel primo grande incontro di studi sullo scrittore e giornalista, prova insomma a fare il punto su una vita unica, come in fondo unica è stata la morte di Terzani, che lui stesso ha voluto raccontare quasi in presa diretta: «Ho ancora tanta strada da fare e so che non mi resta tanto tempo - scriveva-l’unico rimpianto è che quando verrà il momento non sarò lì a prendere appunti». Perché la vita di Terzani - e il libro lo racconta bene- è stata animata da due passioni. La prima è racchiusa nel titolo del libro: «Ho fatto solo una cosa nella vita, viaggiare, e anche questo che descrivo è solo un viaggio. I cinesi hanno un modo di dire: guardare i fiori da un cavallo in corsa. Così riassumerei questa esperienza». La seconda è stata invece raccontare: «Non sono nè intelligente, nè colto, nè bravo. Per istinto, però, sono sempre interessato, incuriosito, affascinato dall’altro». Sono state queste le armi di un fiorentino nato povero, capace di guadagnarsi con le capacità e lo studio l’accesso alla Normale di Pisa per poter studiare; poi dirigente della Olivetti, giornalista al “Giorno” capace di licenziarsi dopo un paio di anni per poter viaggiare in Asia e raccontarla come corrispondente di un settimanale tedesco.
È l’inizio della leggenda-Terzani, che ha raccontato dal vivo la guerra del Vietnam, le stragi dei khmer in Cambogia, fino a diventare il primo giornalista occidentale in Cina. Il libro racconta la capacità mimetica di Terzani, quel suo riuscire a fare propri abiti e pensieri di altri popoli: «Gli è sempre piaciuto» scrive la moglie, «vestirsi come la gente del posto – di bianco nell’Asia calda, come la chiamava lui, di blu in Cina, di nero negli inverni freddi del Giappone». E poi la ricerca della saggezza, della pace, seguendo le orme dei monaci: «Ho ancora grandi limiti»diceva poco prima di morire, «per esempio non sono capace di essere in pace senza la pace di fuori; ogni trillo di telefono è una tortura. I grandi saggi restano saggi ovunque, in metropolitana come sotto le bombe, io no. Io ho bisogno di silenzio. È un limite che non so se riuscirò a superare in questa vita».
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