Lo sciopero paralizza la Fincantieri

MARGHERA. Più l’azienda insiste con le sue proposte di tagliare il salario e permessi, aumentare efficienza, produttività e sicurezza, magari mettendo un microchip negli scarponi da lavoro; e più i lavoratori s’arrabbiano e scioperano, mentre il fronte dei sindacati - sia confederali che di base, solitamente in disaccordo - si ricompatta. Ieri alla Fincantieri di Porto Marghera i lavoratori in massa hanno incrociato le braccia per altre tre ore per ogni turno di lavoro, coinvolgendo nello sciopero anche le migliaia di dipendenti delle centinaia di imprese che lavorano in appalto all’allestimento delle gigantesche e costose navi da crociera.
In sciopero anche altri stabilimenti di Fincantieri, a cominciare da quelli liguri. In totale sono sei le ore di sciopero negli ultimi giorni per contestare la disdetta del contratto integrativo aziendale vigente e per farne uno di nuovo con un totale di 3.500 euro in meno per lavoratore all’anno, meno ferie e meno pause. «A noi», si lamentano gli operai che anche ieri sono tornati a scioperare, «che lavoriamo nelle officine per mille e qualche centinaio di euro al mese ci vogliono tagliare il salario, ma ai manager che amministrano un’azienda come questa, che ancora è dello Stato italiano e non certo privata come la Fiat di Marchionne, nessuno chiede di tagliare compensi annui che superano anche il milione di euro all’anno».
Il cantiere navale di Porto Marghera trabocca di navi da costruire e il portafoglio ordini di Fincantieri - che pochi giorni fa ha approvato il bilancio consolidato del 2014 con 55 milioni di utili - continua a ingrossarsi con nuove commesse del gruppo Carnival Cruise, leader mondiale del settore che controlla, fra gli altri, anche Costa Crociere. Per i mille dipendenti diretti di Fincantieri - ai quali se ne aggiungano altri 2 o 3 mila degli appalti - è difficile accettare che in una fase di massimo carico di lavoro e commesse per il futuro, i vertici aziendali, invece di mettersi al tavolo del negoziato per rinnovare il contratto integrativo e discutere le richieste dei rappresentanti sindacali dei lavoratori, presentano loro una contro-piattaforma, così la chiamano i lavoratori in cantiere.
Il prossimo incontro a Roma dei sindacati e della Rsu con i vertici aziendali, per avviare il negoziato sul nuovo contratto integrativo, è in programma per il 13 aprile, ma prima di quella data - assicurano i delegati della Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu) - i lavoratori si augurano che l’amministratore delegato Giuseppe Bono, da 13 anni al timone dell’azienda, ritiri la sua contro-piattaforma e accetti invece di trattare sulle due piattaforme sindacali (una della Fiom-Cgil e l’altra di Fim-Cisl e Uilm) che si assomigliano molto e possono convergere su un accordo unico. In caso contrario sono da prevedere altri scioperi.
«Fincantieri deve capire che una trattativa per peggiorare ancora le condizioni dei lavoratori non sarà possibile», sottolinea un comunicato della Fiom-Cgil nazionale che replica a quello di Fincantieri che accusa i lavoratori di boicottare l’azienda con gli scioperi. «Conviene a tutti, in primo luogo all’azienda, aprire un confronto vero. In Fincantieri c’è un sistema che nega a migliaia di lavoratori delle imprese d’appalto l’esercizio dei più elementari diritti contrattuali e di legge. Respingiamo i contenuti dei comunicati aziendali apparsi in questi giorni negli stabilimenti, veri e propri tentativi di intimidazione, fondati su descrizioni che mistificano i fatti e il significato delle lotte in corso». «Lo chiediamo noi», conclude la Fiom, «alle istituzioni, al Governo e agli organi competenti, di intervenire per mettere trasparenza e legalità nel sistema organizzativo di Fincantieri».
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