L’investigatore che ha risolto 40 anni di omicidi a Mestre e Venezia. «Il colpevole? Questione di dettagli»

Franco Protopapa, da agente a responsabile della squadra che risolve i misteri di sangue: «In ogni storia ci sono lati oscuri. C’era un serial killer che cambiava sempre targa. Ma aveva un’ammaccatura sulla carrozzeria». Il caso esiste? «Sì, la prima volta che ho messo piede a Venezia sono entrato in una tabaccheria e la ragazza che ho visto poi l’ho sposata»
Carlo Mion

 MESTRE. Franco Protopapa quando, terminata la scuola per agenti di Polizia a Caserta, lo hanno assegnato alla questura di Venezia, si è chiesto: e cosa vado a fare a Venezia che manco so dov’è? Fino ad allora aveva vissuto a Taviano in provincia di Lecce e la domanda che si fece era ironica. Come del resto è ironico Franco.

Era l’inizio degli anni Ottanta e da allora, da Venezia, non se ne più andato. Per 40 anni ha lavorato alla Squadra Mobile. Prima alla sezione Volanti – all’epoca faceva parte della Mobile – e poi, dopo alcuni anni in cui si è occupato di reati contro il patrimonio, è finito alla squadra omicidi, prima come agente e poi come responsabile.

Ora è andato in pensione, dopo aver trattato una quindicina di omicidi, dei quali in gran parte ha portato a casa i responsabili.

«Lo ricordo bene quel 20 luglio 1983, quando il treno lascia Mestre e, imboccato il ponte, mi regala una sensazione strana. Penso: e se adesso finiamo in acqua? Era la prima volta che mettevo piede a Venezia. La data la ricordo bene perché è stato anche il giorno che ho conosciuto la ragazza che diventerà mia moglie», racconta Franco. «Terminato il servizio siamo usciti con altri colleghi e sono entrato in una tabaccheria, dove al banco c’era una ragazza che poi ho sposato».

Anni di grandi rapine e di criminalità organizzata molto violenta. Da subito grandi indagini o gavetta?

«Turni alle volanti, in particolare in quella che all’epoca copriva la Riviera del Brenta. Sono gli anni che mi consentono di conoscere colleghi straordinari: come Totó Lippiello, Ivo Veronese, Giovanni Paties. Erano gli anni in cui quasi non volevi che finisse il turno in volante perché si stava bene insieme».

«Il salto nelle sezioni investigative avviene il 16 agosto 1986, quando a Tessera dei rapinatori assaltano un furgone blindato. Arrivo come agente assegnato agli uffici che la Mobile ha a Mestre. Ci occupiamo in particolare della criminalità del Veneto orientale. Nell’ultimo anno di permanenza a Venezia di Arnaldo La Barbera, gli faccio da autista. Una volta diventato ispettore alla fine finisco alla sezione omicidi».

È l’epoca di personaggi alla Mobile che sembrano usciti da film gialli. Epoca in cui per un poliziotto di quel reparto non ci sono orari.

«Discorso che vale per tutti i poliziotti. Di sicuro, considerato che anche mia moglie lavorava, se non avessimo avuto i suoceri non saremmo riusciti a crescere nostro figlio. Sono gli anni di Giuseppe Palma e Mario Cubeddu, con i quali ho imparato molto».

Inizia ad occuparsi di omicidi. Visto che della stragrande maggioranza avete trovato i responsabili, c’è un fattore fondamentale da non scordare mai?

«Quando si trova il cadavere di una persona non dare mai nulla per scontato. Ricordo un ragazzo africano trovato cadavere in acqua a Venezia. Sembrava morto per una caduta. In realtà era stato ucciso dopo una rapina. Controllando delle telecamere che avevano ripreso lui, abbiamo visto nel video anche altre persone. Queste ci dicono di avere notato il ragazzo parlare con uno. Era l’assassino».

C’è un’indagine che le ha regalato maggiori soddisfazioni rispetto ad altre?

«Ce ne sono alcune. Tutti casi risolti grazie ad un particolare. Nell’omicidio di Valerio Bari sul luogo del ritrovamento c’erano diversi mozziconi di sigaretta. Ma solo, poco distante, uno era “fresco”. Lì abbiamo trovato il dna dell’assassino. Nel caso del serial killer Roberto Spinetti è stato una particolare ammaccatura che dei testimoni avevano notato su auto viste nei luoghi delle aggressioni a farlo individuare anche se le targhe fornite erano diverse. Ed è stato il ricordo di un testimone su una particolare discussione tra Giampaolo Granzo e uno straniero a farci individuare l’assassino del fruttivendolo».

Il serial killer Roberto Spinetti, catturato da Protopapa
Il serial killer Roberto Spinetti, catturato da Protopapa

Da dove si inizia quando il delitto appare misterioso?

«Dall’analisi della vita della vittima. Ci sono sempre dei lati oscuri. Mi è capitato per l’omicidio di un anziano, persona insospettabile. Eppure aveva abitudini che ci hanno portato all’omicida».

C’è un caso che le lascia l’amaro in bocca?

«L’omicidio di Feith, prostituta uccisa a Marghera nel 2011. Un caso irrisolto. Non siamo riusciti a risalire all’assassino. C’è un video in cui si vede il furgone che la fa salire. Ma le immagini della targa non si leggono. Il fascicolo è ancora aperto sulla mia scrivania». —

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