L'INTERVISTA / Parla Baratta: «Sarà una nuova Biennale»
VENEZIA. Dalla vetrina alla fucina. Prenderà questa direzione, nei prossimi quattro anni, la Biennale di Paolo Baratta, presidente riconfermato dopo le rocambolesche vicende degli ultimi mesi, con il siluramento a furor di popolo dell’amico manager pubblicitario Giulio Malgara che l’allora ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan avrebbe voluto al suo posto, fino alla rinuncia. Consolidato ormai il livello e il prestigio delle manifestazioni, lo sforzo sarà appunto quello di trasformare la Biennale, a Venezia, in un centro di produzione culturale basato sulla valorizzazione dei nuovi talenti, in barba alla monocultura turistica che ormai tutto avvolge. Ma andiamo con ordine.
Presidente Baratta, come ha vissuto i mesi che hanno portato dalla sua giubilazione decisa da Galan - con l’appello popolare a suo favore lanciato dal nostro giornale che ha raccolto oltre quattromila firme - alla sua riconferma decretata poi dal ministro Lorenzo Ornaghi?
«Per il lavoro fatto nei quattro anni precedenti insieme alla città e al territorio e ai risultati raggiunti, mi aspettavo due cose. O una mia riconferma, proprio nel riconoscimento dei risultati di quel lavoro collettivo, raggiunto con quella squadra di grande livello che è il personale della Biennale. O che il ministro mi dicesse: “Grazie, ma proprio per andare avanti, ora penso di nominare presidente il direttore della Tate Gallery di Londra o del Moma di New York”. Non è successa né l’una cosa né l’altra».
Ma lei queste cose le aveva dette a Galan?
«Naturalmente, e lui mi sembrava ascoltasse, ma poi... Quello che non mi aspettavo era questo consenso popolare con la raccolta di firme, con numeri da sondaggi tra tifosi da grande squadra di calcio, non comuni per un ente come la Biennale. Ma la percezione di essa è cambiata».
In che senso?
«Per molto tempo la difesa della Biennale anche dagli appetiti della politica e del potere, è stata affidata nel nostro Paese a un’élite di intellettuali, registi, artisti, da sempre identificati con la sinistra. Io sono stato chiamato come tecnico alla guida della fondazione, ma con quella maggioranza politica. E, con un ragionamento tipicamente marxista, da cultura organica, si è pensato con il cambio di maggioranza, che si dovesse sostituirmi con un esponente di destra, sostituendo cultura a cultura. La stessa nomina di Vittorio Sgarbi a commissario del Padiglione Italiano alla Mostra della Arti Visive seguiva questa logica – anche se Vittorio è un artista più che un critico, e sfugge a queste omologazioni – per contrapporre l’arte locale e “genuina” alla visione giudicata cosmopolita, internazionale e di mercato della Biennale ufficiale. Ma non funziona più così, per blocchi contrapposti. Quelli che hanno firmato quell’appello erano anche giovani, persone normali, che hanno imparato ad amare la Biennale. E’ a loro che ci rivolgiamo, non al sistema della politica, di qualunque colore essa sia».
Lei ha avuto un grande appoggio dal sindaco Giorgio Orsoni.
«Perché Orsoni ha condiviso con me questa visione della Biennale e perché, con fiuto tutto politico, ha capito subito in che direzione andava il consenso popolare. Ma devo ringraziare, per lo stile e il rispetto che dimostrano verso la Biennale, anche il presidente della Regione Luca Zaia e quello della Provincia Francesca Zaccariotto».
Parliamo di Mostra e Palazzo del Cinema. Cosa troveranno di diverso i visitatori del Festival di quest’anno?
«Innanzitutto, finalmente, la chiusura del “buco” del cantiere attuale, sostituito da un’area urbana. Su questo mi sono particolarmente battuto, perché non era possibile affrontare un’altra edizione della Mostra in queste condizione. “Quel” nuovo Palazzo, così come era stato concepito, non si farà più, ma ne sorgerà, probabilmente, uno più piccolo, con una sala da circa 600 posti, nella zona d’angolo dell’ex Casinò. Su questo presto Comune, Regione e Ministero dei Beni Culturali stipuleranno una nuova convenzione, che non riguarderà però più il Palazzo, ma la riqualificazione di tutta l’area urbana della Mostra».
Dunque non sarà più realizzata la sala prevista da 2 mila posti. E come si farà, allora, a svolgere anche un’attività congressuale?
«La sala da duemila posti alla Mostra non serve. E quanto all’attività congressuale, quando realizzeremo – probabilmente il prossimo anno – la ristrutturazione della Sala Darsena (l’ex Palagalileo ndr), ci sarà una sala da 1400 posti perfetta per i congressi. Intanto quest’anno realizzeremo il nuovo foyer del Palazzo del Cinema attuale inglobando l’ex Sala Volpi, che era già una superfetazione. E l’obiettivo è quello di realizzare ogni anno qualcosa di nuovo. L’anno prossimo toccherà al recupero della terrazza».
A proposito di Mostra del Cinema: molti volevano la riconferma di Marco Muller – ora approdato alla guida del Festival di Roma – lei ha voluto il ritorno di Alberto Barbera. Perché? E teme la concorrenza romana di Muller?
«Ho ritenuto che fosse giusto cambiare, consentendo di riprendere a Barbera il lavoro a Venezia che aveva dovuto interrompere anni fa. Muller inoltre mostrava qualche impazienza. Non temo concorrenze romane, Venezia ha ormai una sua lucidità che non può perdere. In più avremo cinque giorni di mercato, prima di Toronto e il lancio del progetto Biennale College».
In cosa consisterà?
«Nel rendere “produttivi” – al di là delle manifestazioni – tutti i settori della Biennale. Cominceremo dal Cinema, Barbera ne è entusiasta, con l’obiettivo di selezionare giovani talenti e girare veri e propri film, con piccole produzioni realizzate qui. Ma è un modello che porteremo anche nel Teatro e nella Musica, con i laboratori di Alex Rigola e Ivan Fedele, e nella Danza, con Ismael Ivo, anche per produrre coreografie. Sarà il nostro contributo al progetto di Venezia capitale della cultura».
Con quali fondi lo realizzerà?
«Basta poco, per avviare il progetto Biennale College sul cinema serve un milione di euro. Potremo attivare fondi europei, ma lo presenteremo anche all’imprenditoria veneta e nazionale».
Cultura e formazione, sarebbe un progetto finanziabile anche da qualsiasi fondazione bancaria, è nella natura stessa di questa istituzione. Ci ha pensato?
«Vedremo».
Perché David Chipperfield alla guida della Biennale Architettura e Massimiliano Gioni alle Arti Visive?
«Perché mi aspetto molto da loro. Chipperfield non porterà a Venezia gli ultimi progetti di grandi architetti che potremmo vedere su qualsiasi rivista, ma li inviterà a raccontarsi, attraverso i loro modelli, la loro storia, i loro gusti. Raccontando, così, anche la disciplina. Gioni rischia molto, pur essendo ormai un curatore di fama internazionale. Da lui mi aspetto un piccolo salto generazionale nelle scelte e grande coraggio, smentendo chi continua a volerlo vedere legato al mondo della moda».
L’ultima polemica riguarda il desiderio di protagonisno nelle scelte della Biennale rivendicato da Emanuele Emmanuele, il consigliere nominato dal ministro Ornaghi.
«Non c’è alcun problema, c’è stato uno scambio di lettere con il ministro e c’è la legge e lo statuto della Biennale che indicano chiaramente ruoli e compiti del presidente e del Consiglio. Basta attenersi a quelli, e così faremo».
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