L’ingenere dell’Arpav che risparmia smog andando al lavoro in bici: «Con i miei 117 km ho evitato 20 chili di CO2»
Alessandro Monetti, 44 anni, si muove da Camponogara dove abita all’ufficio di Mestre per dare il suo contributo alla salvaguardia dell’ambiente
CAMPONOGARA. Al lavoro in bici, nonostante la notevole distanza e il cattivo tempo, che durante la brutta stagione da noi sa essere davvero inclemente: a incentivarlo è stato il progetto Bike to work con cui l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto ha deciso di dare 25 centesimi ogni chilometro percorso per recarsi in ufficio. Il progetto ha coinvolto circa il 10% dei suoi dipendenti negli ultimi sei mesi, con una stima di CO2 risparmiata che sfiora le due tonnellate su un totale di 10mila chilometri percorsi.
E già oggi si prevede una seconda tranche di finanziamenti di 2500 euro, più del doppio dell’anno precedente, per rilanciare un progetto che ha lo scopo allargare la platea di dipendenti (il 15%) che usa la bicicletta per arrivare nelle varie sedi regionali.
Uno dei più tenaci e convinti partecipanti, con una grande passione per lo sport e per il ciclismo, è stato l’ingegnere Alessandro Monetti, 44 anni, nato a Fiesso D’artico, per poi trasferirsi con moglie e due figlie (di 12 e 11 anni) a Camponogara. È da lì che è partito e ha preso la bici una volta alla settimana per percorrere 40 km tra andata e ritorno, fino alla sede dell’Arpav in via Lissa a Mestre.
Che formazione ha e che lavoro svolge nell’Agenzia regionale?
«Dopo la laurea in ingegneria chimica, con una tesi sperimentale con relatore Loris Tomiato, oggi attuale direttore generale dell’Arpav, ho iniziato con un contratto di collaborazione e poi, grazie a un concorso pubblico, sono stato assunto nel 2004. Oggi mi occupo di rischio industriale e impiantistico: ispeziono cioè attività soggette alla normativa Seveso, all’Autorizzazione integrata ambientale, andando nelle sedi delle aziende chimiche e termoelettriche, come le raffinerie, il terminal gasiero e le centrali che si trovano a Marghera».
Cosa l’ha spinta ad aderire al progetto?
« La passione per lo sport senz’altro, perché pratico la mountain bike a livello agonistico e l’ho vissuto come allenamento; ma anche perché, oltre ad essere salutare, secondo me è fondamentale che ognuno riduco il proprio impatto sull’ambiente: serve lo sforzo di tutti, ed è per questo che il progetto è importante, perché in gruppo si unisce l’utile al dilettevole, ci si coinvolge a vicenda, ci si trova tra colleghi strada facendo».
La passione per lo sport si limita alle due ruote?
«Devo ammettere di no: dalla corsa alla maratona, arrivando allo sci-alpinismo (da casa mia a Camponogara bastano due ore), è tutto l’ambito dell’attività fisica che pratico con partecipazione e costanza».
Decine di chilometri al giorno sono molti. Ha riscontrato problemi? Le infrastrutture sono adeguate? Che equipaggiamento è necessario?
«L’aspetto più pericoloso sono state le automobili, poco attente agli altri componenti della carreggiata e alle regole del codice stradale: io personalmente porto sempre tutto l’equipaggiamento necessario (casco, luci, vestiti sgargianti), ma cerco comunque di fare strade interne, meno trafficate e, quando ci sono, percorrere le ciclabili, che sono presenti e molto utili: da quella da Mira a Mirano a quella lungo la miranese su Via Ghebba verso Mestre e Oriago fino a quella molto ben fatta e di grande impatto che passa sul Ponte della libertà».
Finita l’impresa, che bilancio ne dà?
«Molto positiva, direi: in tutto ho fatto quasi 117 km e ho risparmiato quasi 20 kg di CO2: ma, con meno smart-working in vista quest’anno, nel 2022 già punto a fare di più».
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