L’impresa dei pompieri «In volo sul cratere sganciando acqua»

di Carlo Mion
Roberto Tentellini quella sera stava dipingendo le pareti del soggiorno della nuova casa, appena comprata a San Liberale di Marcon. All’epoca era il comandante del Nucleo Elicotteri dei vigili del fuoco di Tessera. Poco dopo le 21 suona il telefono di casa. Lui risponde. Dall’altra parte del filo c’è il comandante provinciale dei vigili del fuoco Alfio Pini, anche lui, come Tentellini, ora in pensione. Tentellini ricorda: «Mi dice: la Fenice sta bruciando, devi fare qualche cosa. Sono titubante. Non ho mai volato con l’elicottero sopra la città con agganciata una benna per l’acqua e otto metri di cavi vari. Un conto è passare sopra a un bosco che sta bruciando, un altro è volare su una città con il rischio di agganciare e tirare giù un campanile. A dire la verità ero perplesso anche perché gli elicotteri in dotazione al Nucleo in quel momento avevano un solo motore e per legge non potevano volare sopra le città. Il mezzo ne deve avere due. Un attimo dopo arriva anche la telefonata della Prefettura, mi chiedono la stessa cosa che ha chiesto Pini. A quel punto ho detto sì».
Inizia in quel momento un intervento che un Nucleo Elicotteri dei vigili del fuoco in Italia non ripeterà più. Un intervento che ha consentito di evitare che il fuoco si propagasse ad altri edifici di Venezia e che ha consegnato alla storia la professionalità e il coraggio di un drappello di pompieri.
«Quando esco di casa per andare al Nucleo a Tessera guardando verso Venezia vedo un bagliore rosso. L’incendio si vedeva lontano chilometri. Nel frattempo chiamo l’amico e ottimo pilota Lucio Donà e Paolo Tiberi, il meccanico. In questi casi il meccanico a bordo è importante perché con il portellone del mezzo aperto può vedere dove si sgancia».
Inizia una notte lunghissima al termine della quale gli uomini del Nucleo Elicotteri di Tessera saranno chiamati “Gli Angeli della Fenice”. Della partita fa parte anche un altro tecnico, Giovanni Chiaberge. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi successivamente conferisce la Medaglia d’argento al valor civile a Tentellini e a Donà. Vengono esclusi dall’onorificenza i due tecnici. Ma quella notte c’erano anche loro in prima fila come altre decine e decine di pompieri del famoso “turno C”, tra i quali anche i due figli di Tentellini. Lucio Donà oggi non c’è più, è morto in un incidente stradale alcuni anni fa.
Intorno alle 22 entra in azione il Drago 30, un vecchio AB204 che i pompieri avevano preso dalla Marina Militare. «La prima preoccupazione - prosegue - è stata quella di trovare il punto dove caricare l’acqua: dovevamo trovarne uno vicino al luogo dell’incendio ma non troppo alle case, perché il rumore sarebbe stato infernale. Il punto scelto era in bacino San Marco davanti a Punta della Dogana. Da quel momento abbiamo fatto un lancio ogni 2 minuti e un secondo: ne abbiamo fatti 222, insomma abbiamo lanciato 222.000 litri d’acqua. Mentre ero in volo sento alla radio che, grazie all’interessamento dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, la base americana di Aviano mette a nostra disposizione i suoi elicotteri. Non era necessario, comunque abbiamo apprezzato moltissimo. Da sotto i colleghi mi hanno chiesto di lanciare acqua nel lato sottovento della Fenice. In quel momento soffiava un vento da nord-est a 15 nodi. Il rischio era che le faville finissero su altri edifici. È stata una battaglia: alle 2.20, quando dovevo rientrare a Tessera per fare rifornimento, ho fatto preparare l’altro AB204 del Nucleo. In questo modo abbiamo risparmiato 20 minuti sulle operazioni all’hangar. I lanci sono diventati più efficaci solo quando il tetto è crollato. A quel punto l’acqua scaricata dall’alto finiva direttamente sui focolai. Dall’alto la Fenice sembrava un cratere in eruzione. Abbiamo lavorato quasi cinque ore».
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