«L’Ilva non ci paga da aprile ora siamo costretti a licenziare»

Marghera: una ventina di aziende di trasporto in ginocchio, i camionisti che servono il centro logistico di via Sali avanzano 5 milioni e scioperano anche oggi: «Chiediamo di essere convocati dal prefetto»
Di Marta Artico
Protesta FAI Federazione Autotrasportatori Italiani davanti all'ILVA di Marghera - nella foto Mauro Miatello, AM Trasporti
Protesta FAI Federazione Autotrasportatori Italiani davanti all'ILVA di Marghera - nella foto Mauro Miatello, AM Trasporti

MARGHERA. Hanno incrociato le braccia gli autotrasportatori che ogni giorno si recano nella sede di Marghera dell’Ilva in via dei Sali. Non c’era la consueta fila di camion e autoarticolati che attendono di entrare, calma surreale nel piazzale ieri mattina. Fai Veneto, Cna Fita Veneto e Confartigianato Trasporti Venezia hanno raccolto il malessere delle ditte che gravitano attorno all’Ilva proclamando lo sciopero che andrà avanti anche oggi.

L’Ilva di Taranto ha uno stabilimento a Marghera: un centro logistico utilizzato per lo smistamento delle merci che, per la maggior parte, arrivano via mare dagli stabilimenti pugliesi. E da Marghera, attraverso la società Fb Spedizioni e centinaia di camionisti, la merce raggiunge le destinazioni finali. Gli autotrasportatori avanzano complessivamente 5 milioni di euro. Non percepiscono il dovuto da aprile e per questo non riescono più a pagare i loro dipendenti e in qualche caso diventa difficile anche proseguire con il lavoro. Da qui la protesta con i camion piazzati davanti ai cancelli dell’azienda, e la richiesta di aiuto al prefetto. «Siamo oltre l’arrabbiatura, delusi e demotivati», spiegano. «Stiamo anticipando soldi da aprile e noi paghiamo a trenta mesi. L’Iva l’abbiamo già anticipata e a fine anno pagheremo pure le tasse sul fatturato. La verità è che le cose vanno male da quando c’è il commissario (Piero Gnudi ha preso il comando dell’azienda da giugno, ndr) che di noi non gliene frega nulla».

Mauro Miatello è dell’Am Trasporti: «Sono due generazioni che lavoro per l’Ilva, ma c’è gente che ci lavora anche da tre. Adesso ci sono persone che non mangiano, che devono iniziare a licenziare i dipendenti». Sono una ventina le ditte in ginocchio, circa 350 i mezzi che settimanalmente si fermano in via dei Sali, a seconda dei giorni, in alcuni anche un centinaio. Prosegue: «Ci dicono che va tutto bene, senza contare che i crediti che avanziamo sono calcolati sulla base di tariffe ferme dal 2008. Non c’è un direttore, un referente, nessuno con cui rapportarsi».

Per qualcuno il lavoro all’Ilva incide per il 40 per cento, per altri addirittura il 50 per cento e c’è pure chi lavora in esclusiva e che adesso non sa come andare avanti. «Ho venti dipendenti», spiega Franco Carturan autotrasportatore di Limena (Padova), «se non mi pagano devo lasciarli a casa». «Noi avanziamo oltre 300mila euro», chiarisce Loris Luca, «abbiamo mezzi strutturati solo per un certo tipo di prodotto, per noi l’Ilva incide per l’8 per cento, ma Taranto è uno stabilimento strategico. Il commissario ha il denaro, perché non può usare risorse destinate alle bonifiche e darle a noi?». «Chiederemo di essere convocati dal prefetto», fa sapere Gianni Satini, presidente veneto Fai. «Le cose sono peggiorate da un anno, abbiamo chiesto un intervento simil Parmalat e ci siamo appellati ministro Lupi perché parli con il ministro dello sviluppo economico. Oggi si fattura senza incassare, qualche bonifico è arrivato, ma di aprile».

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