Libri "gender" ritirati delle scuole. «Educare alle diversità»
VENEZIA. Il Comune realizza «iniziative che riportino l’attenzione sui temi della violazione dei diritti civili e rendano effettiva la loro tutela, attraverso il contrasto ad ogni forma di discriminazione, anche mediante la promozione e realizzazione di iniziative che favoriscano l’integrazione e sostengano la difesa della dignità della persona». Ecco cosa diceva la determina comunale del dicembre 2013 che autorizzava la spesa di 9.814 euro per l’acquisto dei libri del progetto “Leggere senza gli stereotipi”. Libri che oggi si trovano solo in biblioteca dopo l’ordine impartito dal sindaco Brugnaro di ritirarli dalle scuole comunali. La lista con i titoli dei libri “vietati” è stata diffusa ieri da Camilla Seibezzi di “Noi la città”, ex delegata del sindaco Orsoni che quel progetto continua strenuamente a difendere.
Protesta Maria Teresa Menotto della segreteria comunale Pd (delega ai diritti): «Titoli che sono al centro di una pretestuosa crociata in nome della libertà di educazione delle famiglie veneziane», attacca e ricorda che nella lista ci sono opere del 1959 e del 1963. La Menotto parla di «arroganza della politica che semplifica in modo strumentale» mentre dovrebbe dare «il buon esempio, trasmettendo i valori della libertà dell’insegnamento, così come ci insegna la Costituzione e sostenere la finalità educativa della pedagogia della letteratura».
Duro l’attacco del deputato veneto del Pd, il padovano Alessandro Zan: «Con Brugnaro, Venezia corre il rischio di sprofondare nel pregiudizio e nella discriminazione. Bandire dalle scuole 1.098 libri di favole che educano alle differenze è un atto che ricorda i tempi bui della storia, dove l’eguaglianza viene accantonata e l’odio sociale alimentato».
«La realtà è che non esistono “libri gender”, ma solo libri, e il posto dove devono stare i libri è (anche) la scuola, che è il posto dove si educa», dice una nota dell’Arci Gay del Veneto sottoscritta dai rappresentanti di Padova, Verona, Rovigo e Vicenza, che vedono Brugnaro come un sindaco «con idee confuse». «Educare alle diversità è un compito della pubblica amministrazione, soprattutto locale. Saper includere nella città, sia le famiglie omogenitoriali, sia le differenze religiose o di nazionalità non è un vezzo da amministrazione liberal ma una necessità della realtà in cui viviamo. Perché, che al primo cittadino piaccia o meno, le molteplici forme dell’essere famiglia e della genitorialità, le differenze razziali e religiose, le diversità di orientamento sessuale e di genere sono un fatto, può scegliere solo se rispettarle o meno», concludono.
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