Lewis Hine, l’umanità senza nome che ha fatto grande l’America
VENEZIA. C’è una donna seduta con un bimbo in braccio e un altro ai suoi piedi. Ricorda la Madonna della sedia di Raffaello ma non è un dipinto: è una foto in bianco e nero degli inizi del Novecento, è la “Madonna delle case popolari” così come l’ha colta in uno dei suoi straordinari scatti Lewis Hine. C’è un’emigrata albanese avvolta non in un drappo di seta ma in una cappa di cotone, ha il volto stanco eppure fiero, nell’attesa estenuante a Ellis Island, per entrare nella terra promessa americana. C’è una famiglia di emigranti italiani che aspetta nel caos degli sbarchi dai bastimenti transoceanici di ritrovare il proprio bagaglio smarrito. Sono ritratti teneri e feroci a un tempo, hanno rimandi classici nella postura, nei richiami culturali che vivono nell’occhio e nella mente del fotografo che però usa la propria arte come mezzo di denuncia di una realtà sociale che non lo soddisfa.
«Forse siete stufi di immagini di lavoro minorile. Bene lo siamo tutti» dirà Hine «ma noi ci proponiamo di rendere voi e tutto il paese così a disagio di fronte a questa faccenda, che quando arriverà il tempo dell’azione, le immagini del lavoro minorile saranno soltanto una testimonianza del passato».
Lewis Hine ha inventato la “fotografia sociale” per raccontare una realtà in continua e inarrestabile evoluzione in anni in cui gli operai lavoravano come acrobati, a centinaia di metri da terra per costruire i nuovi tall buildings nella patria del sogno americano. A fianco a questi pionieri delle costruzioni, anonimi eppure indispensabili eroi della modernità, anche il fotografo si arrampica ad altezze vertiginose per seguirli da vicino e catturarne la quotidiana fatica, va ad Ellis Island nell’inferno degli emigranti in attesa di un visto o nelle aziende della Pennsylvania, del North Carolina e della Virginia tra i lavoratori bambini, come Edith che a 5 anni fa la raccoglitrice il cotone, ed è poco più grande di una bambola.
Le foto di Hine sono foto di denuncia che hanno fatto il giro del mondo per la loro irripetibile bellezza, pur raccontando la cruda realtà ma sempre con un tocco di poesia. Perché per costruire quella nazione splendida e potente che è diventata l’America ci sono voluti tantissimi uomini e donne, spesso ai margini della società, che hanno garantito con il loro lavoro lo sviluppo e il benessere di un’intera nazione.
A quegli uomini e a quelle donne di cui oggi nessuno ricorda più i nomi è dedicata la mostra allestita alla Casa dei Tre Oci alla Giudecca, , una mostra che oltre al valore artistico intrinseco, ha un valore aggiunto: il valore della memoria, della tutela dei ricordi. Lewis Hine (1874-1940) era insegnante alla Ethical Culture School di New York. Quando iniziò a utilizzare la macchina fotografica ne intuì immediatamente le potenzialità come mezzo di indagine sociologica. Davanti al suo obiettivo passa una varia umanità che vive, quando va bene, nelle case popolari, dove i figli sono costretti a lavorare anche in piccolissima età mentre i padri sono impegnati magari nella costruzione dell’Empire State Building. Da questo tipo di fotografia sociale prenderanno spunto tutte le generazioni successive di artisti che utilizzeranno la macchina fotografica come strumento di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
L’esposizione, curata da Enrico Viganò, riunisce per la prima volta opere originali provenienti dalla collezione della famiglia Rosenblum di New York, il più consistente fondo archivistico privato di stampe vintage di Hine.
“Lewis Hine - Building a Nation. Venezia, Casa dei Tre Oci, fino all’8 dicembre. Tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 10 alle 18.
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