Lettere di minaccia alla Tonini Indaga sul Mose: «La pagherai»
VENEZIA. Il Comitato per l’ordine e la sicurezza coordinato dal Prefetto di Venezia ha deciso di porre sotto tutela l’abitazione del pubblico ministero Paola Tonini, in seguito al fatto che il magistrato ha ricevuto due lettere di minacce, naturalmente anonime. In entrambi le missive si fa esplicito riferimento alle indagini sul Consorzio Venezia nuova e sulla corruzione per il Mose.
Il magistrato abita nel centro storico con la famiglia ma pochi sanno dove si trova casa sua e per rintracciare l’indirizzo chi ha voluto mandarle un messaggio ha dovuto compiere ricerche particolari. La prima lettera è stata infilata nella cassetta delle lettere del pubblico ministero, anche se c’è solo il cognome del marito, mentre la seconda è stata lasciata accanto alla porta dell’appartamento, sulle scale. In entrambi i casi si tratta di scritte fatte a mano, ma attraverso il normografo, in modo che la calligrafia non si possa in alcun modo riconoscere. Nella prima c’era scritto: «Tonini pm Mose», quindi era tracciata una croce. Nella seconda si leggeva «Prima carcere poi sequestri dei proventi. La pagherai». E ancora una volta la croce. Quella che si mette sulle tombe e, dunque, un esplicita minaccia di morte.
Il Comitato provinciale presieduto dal Prefetto ha deciso, proprio perché le lettere sono state recapitate a casa, di tutelare l’abitazione del magistrato. Il quale, comunque, non è sembrato particolarmente preoccupato delle minacce, anche se non le sottovaluta. Anche perché, nella sua vita di inquirente, le è già capitato in passato. Quando era più giovane, tra i primi incarichi da pubblico ministero a Venezia, ha indagato sui seguaci di Felice Maniero in laguna, autori di rapine, estorsioni, omicidi e traffico di sostanze stupefacenti. Allora era stata minacciata esplicitamente in più occasioni. Poi ha avviato l’inchiesta sulle deviazioni all’interno della Squadra mobile veneziana, ottenendo alla fine le condanne dell’allora capo e di altri uomini alla sue dipendenze. E anche quella non era stata un indagine facile, trattandosi di persone che avevano lavorato anche al suo fianco e che raccoglievano la stima di molti.
L’indagine sul Consorzio Venezia Nuova, che ha fatto scattare le manette ai polsi dell’allora potentissimo ingegnere Giovanni Mazzacurati, è iniziata da una verifica fiscale degli uomini del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza. Si è allargata poi ad una gara d’appalto del Porto per lo scavo di un canale in laguna, approdando infine, grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, nel cuore del Consorzio. Contemporaneamente, il pubblico ministero Stefano Ancilotto aveva iniziato ad indagare sulla «Mantovani» di Piergiorgio Baita.
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