Lei è incinta e i medici le asportato l’utero: tre ginecologi a processo

Venezia. Una 37enne sottoposta a intervento per la rimozione di alcuni fibromi. I dottori accusati di lesioni colpose e violazione della legge sulla maternità
La sala parto del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Sandro Pertini di Roma, 10 febbraio 2013. ANSA/ TERESA CARBONE
La sala parto del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Sandro Pertini di Roma, 10 febbraio 2013. ANSA/ TERESA CARBONE

VENEZIA. Non avrebbe saputo di essere incinta e per questo si era sottoposta all’asportazione dell’utero in seguito alla presenza di alcuni fibromi. Ma secondo l’accusa, nel grembo di quella donna, allora 37enne, c’era un embrione. Per questo tre ginecologi dell’ospedale Civile sono a processo per lesioni colpose e violazione della legge sulla maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza.

Sul banco degli imputati ci sono il primario di Ginecologia dell’ospedale di Venezia, Raffaele Cicciarella, mestrino, difeso dagli avvocati Domenico Carponi Schittar e Augusto Palese, in qualità di primo operatore, e i colleghi Maurizio Montavoci, veneziano, (secondo operatore) con l’avvocato Renzo Fogliata e Daniele Cavoli, mestrino, (medico del reparto) con l’avvocato Antonio Turrisi. Nel corso dell’udienza di ieri, davanti alla giudice monocratica Alessia Capriuoli, sono stati sentiti alcuni testi citati dal pubblico ministero Giorgio Gava. La donna non si è costituita parte civile.

I fatti contestati dalla Procura ai tre professionisti risalgono al 22 ottobre 2015. La donna, secondo l’accusa, era stata sottoposta all’intervento di asportazione dell’utero «mentre versava in stato di gravidanza e a fronte di patologia (la presenza di fibromi nell’utero) che poteva e doveva essere diversamente curata» e per questo era stata «cagionata colposamente l’interruzione della gravidanza (in carenza di valido consenso informato della donna, la quale nulla sapeva del suo stato di gravidanza)», si legge nel capo d’imputazione. Il primario, secondo la Procura, sarebbe intervenuto senza aver valutato gli elementi - tra cui il ritardo nel ciclo - che «costituivano controindicazione assoluta all’espletamento di un tale intervento, senza essersi premurato di verificare gli esiti degli esami effettuati nel corso del pre ricovero che rivelavano la gravidanza». Il dottor Montavoci è stato tirato in ballo in quanto secondo operatore nell’intervento e responsabile della cosiddetta “check list per la sicurezza in sala operatoria”: non si sarebbe premurato, secondo l’accusa, di verificare l’esito degli esami e del quadro clinico della paziente. Il ginecologo Cavoli, invece, per la Procura sarebbe stato il responsabile della visita pre operatoria. Le lesioni colpose sono ipotizzate dalla Procura nel fatto che la donna, in seguito all’intervento, aveva avuto una convalescenza di 30 giorni e perso definitivamente la capacità di mettere al mondo figli.

La difesa sottolinea come il processo verterà sull’accertamento dello stato di gravidanza o meno della paziente al momento dell’intervento. Per questo sarà fondamentale sentire in aula i consulenti delle parti. Nella prossima udienza, fissata per il 28 febbraio, saranno sentiti la donna e altri testimoni.

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