L’EDITORIALE / La melma del Mose e il Veneto che ho nel cuore
VENEZIA.. «Oportet ut scandala eveniant» (Matteo,18,7): è bene che avvengano gli scandali, ma «guai all’uomo che ne è all’origine». Oggi in Veneto, ma non solo in Veneto, verrebbe da dire "troppa grazia sant’Antonio": siamo sommersi da scandali. E tra questi lo scandalo Mose è sicuramente il più grave di tutti. Peggio, molto peggio della Tangentopoli milanese degli anni ’90 quando giravano tangenti dagli imprenditori direttamente nelle casse dei partiti e di qualche mariuolo. Qui la corruzione si è fatta sistema e ha coinvolto imprese e imprenditori, cooperative, politici, magistratura, guardia di finanza, commercialisti, architetti, ingegneri, istituzioni culturali, religiose e quant’altro. Il sistema è stato raccontato dal collega Renzo Mazzaro su queste colonne e poi nel libro "I padroni del Veneto" pubblicato due anni fa. Lì il sistema era già descritto perfettamente. Certo non c’erano le confessioni di tanti protagonisti arrivate solo dopo l’indagine della magistratura e il tintinnar di manette capace di ridare voce e risvegliare ricordi a tanti inquisiti. E c’era descritto, nel libro di Mazzaro, l’intreccio perverso che ha permesso, per almeno un decennio, che tutti accedessero alla mangiatoia del Mose e tutti contribuissero a tenerla in vita, chi per convenienza, chi per paura, chi per ignavia.
Il grande burattinaio Giovanni Mazzacurati, presidente-padrone del Consorzio Venezia Nuova, era ben consapevole di tenere tutti in pugno tanto da rispondere sprezzante a chi sollevava dubbi o gli si metteva contro, «tu non capisci…». Adesso abbiamo capito. E solo grazie al lavoro dei magistrati che vanno ringraziati due, cento, mille volte, perché non è stato facile smascherare il sistema, trovare le prove che hanno inchiodato anche i più riottosi alle loro responsabilità. Fino al tintinnar di manette è stato silenzio. Poi, ma solo dopo, si sono sentite le voci della politica, dell’imprenditoria, della Chiesa, rimaste mute per tanti anni. E bene ha fatto Matteo Renzi a lanciare quel «chi sa parli, vada dai magistrati e racconti quel che sa». Oportet ut scandala eveniant. Un invito a scoperchiare la fogna del Mose (e anche le altre ancora nascoste in Veneto, nelle autostrade, negli ospedali, negli aeroporti), a dare un nome a ratti e pantegane, a togliersi dalla melma che in questi anni ha sommerso la nostra vita economica, politica e sociale.
Tutto è avvenuto mentre il Veneto soffriva la più grande crisi dal dopoguerra. Abbiamo tristemente raccontato le morti suicide degli imprenditori che non ce l’hanno fatta a reggere l’onta del fallimento, l’angoscia del debito, la vergogna di dover licenziare amici di una vita messi sul lastrico con le loro famiglie. Ho in mente il benzinaio dell’ospedale di Padova e a lui e alla sua famiglia, e con lui a tutti gli altri, rivolgo un pensiero.
Abbiamo vissuto e raccontato i licenziamenti, le tante crisi aziendali, le difficoltà crescenti di artigiani e commercianti, quelle dei giovani che non riescono a trovare lavoro e non possono farsi una famiglia. Intanto c’era chi faceva bottino dei nostri soldi nascosto dietro le paratie del Mose. «100 milioni di euro l’anno», ha raccontato Piergiorgio Baita ex presidente della Mantovani, per la prima volta al nostro Alberto Vitucci: una montagna di soldi distribuiti a tutti per ottenere il consenso a un’opera discussa, per favorirne la realizzazione a costi crescenti in modo spropositato, per annacquare i controlli, pilotarli, e a ben vedere a gestirli, sollevando ora il dubbio che l’opera possa essere davvero efficace alla difesa di Venezia. I tecnici assicurano che lo sarà. C’è da augurarselo. Anche fidandoci intanto sappiamo che la sua manutenzione costerà oltre 20 milioni di euro l’anno e ogni manovra delle paratie costerà 250 mila euro (con dieci alte maree l’anno sarebbero già altri 2,5 milioni di euro). C’è solo da augurarsi che lo scandalo di oggi ci preservi almeno da una nuova mangiatoia attorno alla costosa gestione del Mose che ancora non sappiamo, terminati i lavori, a chi verrà affidata. Ma già vediamo aggirarsi attorno a quelle paratie altre bocche fameliche.
E dire che spesso sarebbero bastate poche migliaia di euro per togliere tanti dalla disperazione ed evitare quelle morti che gravano sulla coscienza collettiva. Nella valutazione morale e politica, che è altra cosa dal giudizio dei tribunali, va messo sulla bilancia anche questo enorme fardello che pesa su chi ha corrotto e su chi si è fatto corrompere, su chi si faceva pagare un ricco stipendio extra, su chi si faceva finanziare le campagne elettorali, su chi riceveva ricche donazioni dirottate dai fondi per il Mose. Nessuno era esente dalle elargizioni e tanto ancora dobbiamo conoscere di questa vicenda perché tanti sono gli omissis nelle carte dell’inchiesta, omissis che cadranno con i processi.
È necessario e urgente che tutto si conosca perché il Veneto possa superare questa crisi. Il Veneto, la sua gente, i tanti amministratori pubblici e imprenditori onesti che non appartengono a nessuna cricca, non meritano lo scandalo di oggi che ferisce e lacera una grande realtà di popolo che lavora, che si suda la giornata, che è capace di dar vita a grandi e piccole imprese che fanno onestamente il proprio lavoro, che conquistano i mercati mondiali, che sanno rinnovare e innovarsi. Un popolo che sa essere anche ai primi posti in Italia per le organizzazioni di volontariato, di sostegno ai più deboli, agli ammalati. Ho conosciuto e amato questo Veneto che produce cultura con le sue Università, le sue importanti istituzioni artistiche, i tanti centri di ricerca e di studio.
È questo il Veneto che porterò nel cuore, cari lettori. Oggi vi saluto dopo oltre due anni di direzione dei quattro giornali veneti della Finegil. Voglio esprimere la mia gratitudine verso i tanti che mi hanno aiutato in questi anni, che sono stati vicini ai nostri giornali nell’appuntamento quotidiano all’edicola, offrendoci suggerimenti e critiche. Voglio ringraziare tutti, sarebbe una lista lunghissima di persone a Padova come a Venezia, Treviso e Belluno con le quali ho dialogato, non di rado con posizioni diverse, ma sempre con onestà e franchezza.
Voglio dire grazie a quanti nei nostri quattro giornali hanno profuso il loro impegno. A cominciare dal vicedirettore Antonello Francica, i caporedattori Gianluigi Cortese, Giorgio Sbrissa, Maurizio Caiaffa, Enrico Pucci, Leandro Barsotti a Padova, Marcella Corrà a Belluno, Luigi Carrai a Venezia, Tiziano Marson a Treviso e tutti i colleghi delle quattro redazioni.
Ringrazio gli editorialisti e in particolare Ferdinando Camon, un grande scrittore che ci ha onorato con i suoi articoli e il collega Francesco Jori, e poi Stefano Allievi, Maurizio Mistri, don Marco Pozza, Francesco Morosini, Renzo Guolo, Giovanni Palombarini, Vincenzo Milanesi, Piero Innocenti, Gilberto Muraro, Roberto Bin, Vera Slepoj, Mario Bertolissi, Gianfranco Bettin, Massimo De Luca, Adina Agugiaro, Bepi Contin, Paolo Giaretta, Bepi Covre: da loro sono venuti importanti analisi e spunti di riflessione che giorno dopo giorno hanno arricchito i nostri giornali.
Un grazie particolare lo devo al consigliere delegato Fabiano Begal, per la sua disponibilità e sensibilità con la quale ha gestito una realtà assai complessa come la divisione Nord-est della Finegil e con il quale ho collaborato sempre in grande sintonia.
Abbiamo tutti lavorato sodo, mettendoci testa e cuore, in anni difficili anche per i giornali e per i giornalisti. Anni di tagli necessari a far quadrare i conti ma anche anni di investimenti sul giornale cartaceo e sul web, consapevoli che la sfida che abbiamo di fronte si gioca su entrambe le piattaforme e con la convinzione che i quotidiani avranno un futuro se sanno modularsi soddisfacendo le richieste di lettori sempre più esigenti che vogliono incontrarti là dove sono, che chiedono un prodotto di qualità e che sono pronti e disponibili a un confronto attivo.
Siamo riusciti, in un quadro generale assai difficile di calo generalizzato delle copie, a conquistare ulteriori quote di mercato con i giornali di carta e abbiamo sviluppato la presenza delle nostre testate sul web, passate in due anni da 22.753 amici su facebook agli oltre 123.000 di oggi, con 160 mila utenti unici e oltre 560 mila pagine viste al giorno.
Tutto, nel bene e nel male, abbiamo fatto in assoluta libertà, che è davvero la fortuna più grande per un giornalista e di questo sono grato all’editore Carlo de Benedetti.
Ora al mio posto arriva una bravissima collega e amica, Pierangela Fiorani. Ci conosciamo da molti anni avendo lavorato insieme alla Repubblica di Milano. In bocca al lupo Pierangela, so che saprai fare meglio di chi ti ha preceduta.
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