“Le vite di Monsù Desiderio”

Di solito le biografie degli artisti vengono studiate per illuminare le loro opere. In “Le vite di Monsù Desiderio” (Bompiani, pp 317, 22 euro) Fausta Garavini ha rovesciato l’assunto, usando i quadri per provare a costruire una vita. La vita è quella di François de Nomè, pittore seicentesco non famosissimo, ma autore di quadri assolutamente sorprendenti, perché fuori dai canoni. François de Nomè amava dipingere architetture fantastiche, ma soprattutto i crolli di queste architetture. Uno dei sui quadri più famosi fissa sulla tela il momento esatto in cui le colonne che reggono una chiesa cedono e si spezzano, raccontando di una caducità che non sembra appartenere solo all’uomo e alle sue creazioni, ma al mondo stesso, alla natura, alla realtà. È partendo dai quadri, allora che Fausta Garavini, esercitando anche la sua vena saggistica, ha ricostruito la vita di un uomo di cui si sa pochissimo. E quel poco, tra l’altro, è anche confuso, perché il soprannome Monsù Desiderio è stato attribuito contemporaneamente anche a un altro pittore, Didier Barra, che lavorava nella stessa bottega, ma con stile totalmente diverso. Questo permette a Fausta Garavini di creare un gioco di sovrapposizioni, che è altro tema centrale, in un libro che ricostruisce, anche nella lingua, un Seicento inquieto, pessimista, oscurato da cattivo governo e rischiarato da idee nuove, condannate però al segreto, se non al silenzio. Ecco allora l’influenza di Giordano Bruno, di Campanella, che si rintraccia nei quadri di Monsù Desiderio, ma da questi passa alla sua vita immaginata, reinventata da una autrice che usa il passato per raccontare non tanto il presente quanto l’eterno che vi è nell’uomo.
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