Le sirene della “Scala” non incantano Venezia

Paolo Baratta: «Resto alla Biennale». Ortombina direttore artistico? Anche Chiarot poco propenso a lasciare la Fenice
Carrai Interpress/Tagliapietra Venezia 16.11.2012.- Prima "Otello" Teatro La Fenice. Chiarot,Clini,Orsoni,Baratta
Carrai Interpress/Tagliapietra Venezia 16.11.2012.- Prima "Otello" Teatro La Fenice. Chiarot,Clini,Orsoni,Baratta

di Enrico Tantucci

VENEZIA. «Se la Scala è un’istituzione alla quale non si può dire di no, anche la Biennale è un’istituzione alla quale non si può dire di no. Per cui resto al mio posto». È una dichiarazione insieme ironica e secca quella con cui Paolo Baratta, presidente della Biennale, chiude la saracinesca sulle indiscrezioni circolate in questi giorni sulla stampa per le quali, se da Milano - come è possibile - qualcuno pensasse a lui per prendere il posto dal 2015 di Stéphane Lissner come sovrintendente della Scala, non potrebbe rifiutare l’onore. Ma Baratta, nonostante la grande passione per la musica - è tuttora presidente anche dell’Accademia Filarmonica Romana e consigliere degli Amici dell’Accademia di Santa Cecilia - a lasciare la Biennale per la Scala non pensa assolutamente. La stessa tempistica rende impossibile questa eventualità perché nel 2015, da presidemte, dovrà ancora organizzare la Biennale Arti Visive, mentre il cronoprogramma della Scala prevede che il nuovo sovrintendente affianchi Lissner nel 2014, per prendere poi appunto il suo posto - quando si sposterà all’Opéra di Parigi - nel 2015. E dunque non ci sarà certamente il suo nome nella rosa allargata di candidati che domani il vicepresidente della fondazione la Scala Bruno Ermolli presenterà al Consiglio di amministrazione. Potrebbe però esserci un altro veneziano come il sovrintendente della Fenice Cristiano Chiarot - un altro dei papabili - che però, come Baratta. ha già fatto sapere di restare volentieri a Venezia. Ma c’è anche un terzo candidato veneziano per la Scala, questa volta per il ruolo di direttore artistico: è il direttore artistico della stessa Fenice Fortunato Ortombina, che al teatro milanese è già stato come coordinatore artistico e che potrebbe tornare nel nuovo ruolo di direttore che la fondazione meneghina vuole tornare a sdoppiare dalla carica di sovrintendente, senza l’incorporazione adottata con Lissner. Ma difficilmente Chiarot si lascerà “rubare” uno degli artefici del nuovo rilancio della Fenice, come appunto Ortombina (a meno di un ticket dei due in viaggio per Milano che non appare al momento probabile). Per la Scala - che non avrebbe più dubbi invece nell’affidare a Riccardo Chailly il ruolo di direttore musicale che è ora di Daniel Baremboim - restano dunque i dubbi. E anche le turbolenze: proprio alla vigilia del Cda, i sindacati hanno proclamato uno sciopero che ha fatto cancellare la quarta replica del Macbeth di Verdi. Per i sindacati (ma non la Cisl) c’è allarme sui conti e stallo sulle nomine. In pole position per il ruolo di sovrintendente resta il franco-libanese Pierre Audi che ora guida la Nederlandse Opera di Amsterdam, mentre in ribasso sarebbero le quotazioni di Alexander Pereira - responsabile del Festival di Salisburgo - per le sue pretese eccessive, come una percentuale sulle sponsorizzazioni del teatro. Se si punterà su un italiano, restano in pista il finanziere e collezionista Francesco Micheli - già nel Cda scaligero - e, con Chiarot, il direttore del Piccolo Teatro Sergio Escobar e il sovrintendente del Regio di Torino Walter Vergnano, ma non si escludono altre candidature dell’ultima ora. Ma, al di là di come si concluderà la partita sulle nomine della Scala, quello che colpisce è l’interesse per candidature di veneziani di nascita o di adozione come Baratta, Chiarot e Ortombina. È qualcosa che ha a che fare, evidentemente anche su un modello-Venezia che per le grandi istituzioni culturali funziona. Un presidente come Baratta è evidentemente guardato con ammirazione anche perché rafforza ed espande l’influenza della Biennale come più importante istituzione italiana, in un periodo di bilanci magri e di tagli di spesa pubblica alla cultura, riuscendo ad aumentare in maniera considerevole le risorse proprie. La prossima Biennale Arti Visive, ormai vicina, vedrà ad esempio la fondazione veneziana coprire circa 12 milioni sui 13 del costo complessivo della manifestazione con risorse proprie, tra sponsor e incassi. Un record italiano per una mostra che è, oltretutto, l’evento che genera il maggiore indotto turistico per la città rispetto a ogni altro, dal Carnevale, alla Regata Storica, al Redentore. In più c’è l’investimento sul permanente, con il progetto Biennale College e il settore educational che generano nuove attività e risorse. Considerazioni analoghe sono possibili per la Fenice, capace di tenere in ordine conti e bilanci e contemporaneamente di aumentare fortemente la produttività e le attività collaterali. A cominciare dalle visite guidate allo stesso teatro ricostruito, che ne fanno uno dei “musei” più frequentati della città. Evidentemente, il modello-Venezia delle istituzioni culturali è guardato con interesse anche a Milano e allora per il ricambio alla Scala - un teatro invece a cui i problemi economici non mancano - si guarda anche agli interpreti veneziani di quelle realtà, come appunto, tra gli altri, Baratta e Chiarot. Anche se alla fine, probabilmente, resteranno dove sono.

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