«Le nostre notti in cerca di clochard cui offrire un rifugio»
Gelo, miseria e notti all'addiaccio per una decina di clochard che in mancanza di un posto letto cercano giacigli di fortuna intorno alla stazione ferroviaria di Santa Lucia. Un gruppetto arriva con passo lento verso le 19.30: sono quattro uomini e una donna. Ammucchiati popolano un angolo buio; si sistemano su una panchina di pietra sotto gli alberi accanto alla gradinata della ferrovia. Si divertono, intonano la canzone "Io vagabondo" dei Nomadi. La donna la trasforma in "Noi vagabondi che non siamo altro", con un braccio dirige il coro, con l'altro regge a malapena un cartone di vino.
«Questa sera è aggressiva. Meglio stare lontani» dice chi la conosce «ma domani mattina ti saluta con un abbraccio». Talvolta, la donna, aggredisce i passanti. È capitato anche ieri. Prima interviene la sorveglianza, cerca di dialogare poi chiede il supporto delle forze dell'ordine, sempre presenti. La colonia di uomini se ne sta appartata nel suo mondo; respira emarginazione, fragilità, miseria; qua e là borsoni con indumenti e cartocci di vino. I cinque rifiutano l'accoglienza notturna non le bevande calde offerte dagli operatori; il loro riparo si trova nel piccolo parco poco distante, un fazzoletto di erba, ghiaia e panchine d'acciaio a due passi dal ponte di Calatrava. Intorno a quel mondo "invisibile" ne ruota un altro: i turisti, gli alberghi, le luminarie del Natale, i negozi della stazione ferroviaria che chiudono verso le 21; alle 22 abbassa le serrande Relax e Caffè.
«Qui gli sbandati arrivano raramente e spariscono subito. La sorveglianza è continua», dice un responsabile. La stazione chiude alle 12.30, riapre alle 5.30. Nel frattempo nel piazzale avanzano altri senzatetto. Un uomo, fisico magro, una borsa a tracolla, due bottiglie di birra - nessuno lo conosce - si apparta e si siede vicino un cassonetto delle immondizie, dietro a lui la statua della Madonna. Alle 21.30 si alza a fatica, raggiunge un albero e si trascina verso il piccolo parco. Altri due, il magrebino Hassan e l'egiziano Masud, hanno un appuntamento con gli operatori della Cooperativa Co.Ge.S., (Unità di strada, progetto "Emergenza inverno" finanziato dal Comune) per avere un posto letto. Ogni sera, alle 19.30, un furgone parte dalla Casa dell'Ospitalità di Mestre; gli otto operatori si dividono in due team, uno resta in terraferma, l'altro viene scaricato in Piazzale Roma. L'ora di ritrovo è alle 20.15 nel piazzale di Santa Lucia. La scorsa notte c'erano Elena Bonato e Giovanni Passino. Clochard e operatori si incontrano; questi ultimi contattano la struttura e prenotano due posti letto.
«Questa notte ne abbiamo a disposizione solo uno», rispondono dalla Casa dell'Ospitalità. Che fare? Ci va il più anziano, Hassan. Si accordano: «Ora giriamo per la città, ripassiamo a prenderti verso le 22.30; a te consegniamo questo sacco a pelo nuovo», dicono Bonato e Passino salutandoli e incamminandosi muniti di carrello verso la Strada Nuova alla ricerca di altri senzatetto. Per un paio ore i due clochard non si muovono. Quegli uomini senza corazza fanno tenerezza. Hassan si fa coraggio e sottovoce dice: «Ci aiutano e hanno sempre il sorriso. Sono i nostri angeli». Masud, 42 anni: «Sono in Italia da sedici anni; facevo il cuoco a Milano, sono qui da tre mesi. Questa notte troverò riparo fuori del locale Spizzico; dormirò come un lupo, cioè con un occhio aperto e uno chiuso. In piena notte passano ubriachi e mi danno calci. Questi giovani operatori sono come la primavera nel tempo freddo».
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