Le minacce dei Casalesi e i contratti da bruciare prima dell’interrogatorio
PORTOGRUARO. L’ombra dei Casalesi, vera o presunta, e le carte da far sparire in fretta: dall’inchiesta della Guardia di finanza di Portogruaro sulla truffa milionaria a tremila risparmiatori del Nord est filtrano nuovi particolari.
Poco più di una settimana prima di rendere l’interrogatorio in Procura, richiesto da lui stesso il 12 aprile scorso per fare chiarezza, il trader portogruarese Fabio Gaiatto, 43 anni, in carcere con le accuse di associazione per delinquere, truffa aggravata, abusivismo finanziario e autoriciclaggio, ha dato un incarico particolare a una sua collaboratrice. La donna lo ha riferito alla Guardia di finanza di Venezia il 20 aprile: Gaiatto, stando al suo racconto, le aveva chiesto di bruciare dodici faldoni che contenevano i contratti siglati dai clienti. Ma lei, invece, ha deciso di consegnarli nelle mani delle Fiamme gialle.
È uno degli elementi che hanno fatto ritenere al gip Rodolfo Piccin sussistente il pericolo di inquinamento probatorio concreto e attuale da parte del principale indagato, al quale gli investigatori riconducono funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione di otto società con sede all’estero, dalla Gran Bretagna al Delaware, dalla Croazia alla Slovenia.
Non è il solo tentativo di insabbiamento contestato dagli inquirenti a Gaiatto. Per stornare da sé i sospetti e scongiurare altre querele, secondo gli inquirenti ha rassicurato alcuni clienti trasmettendogli screenshot di distinte di bonifico risultate poi fasulle. È quanto hanno appreso i detective della Fiamme gialle da due clienti a maggio. Una investitrice ha spiegato di aver ricevuto la foto dell’ordine di bonifico per più di 24 mila euro da un procacciatore di clienti di Gaiatto, ma di aver capito ben presto che si trattava di una presa in giro, perché poi i soldi sul conto non le sono stati versati. L’altra querelante invece ha dichiarato invece di aver ricevuto dallo stesso Gaiatto nel dicembre 2017 la foto dal video di un pc con il bonifico da 10 mila euro.
Nell’interrogatorio fiume reso alla presenza del procuratore Raffaele Tito e del pm Monica Carraturo, titolare dell’inchiesta, lo scorso 27 aprile, Gaiatto ha rivelato agli inquirenti di ritenersi lui stesso vittima di una truffa, perpetrata a suo dire da alcuni collaboratori che avevano di fatto in mano la gestione delle società estere. Assistito di fiducia dagli avvocati Luca Ponti e Loris Tosi, il trader ha spiegato in quell’occasione agli inquirenti di aver perso le tracce di 12 milioni di euro. Soldi che avrebbe cercato di recuperare avvalendosi di un soggetto che ha poi usato metodi dubbi per la riscossione, apprendendo solo in seguito dagli inquirenti che l’uomo era finito in carcere. La Procura, tuttavia, non ha trovato riscontri alla tesi dei dodici milioni spariti né risultano indagini aperte in Croazia.
È lo stesso Gaiatto a raccontare la visita in compagnia del “riscossore” a marzo: l’uomo ha sostenuto di appartenere al clan dei Casalesi e che i soldi spariti sarebbero appartenuti alla sua famiglia. Una minaccia che ha portato alla restituzione di tre automobili, due Range Rover e una Mercedes, e di un terreno, poi acquisito dalla Studio Holding doo, la società attraverso la quale, secondo gli inquirenti, è stato realizzato l’autoriciclaggio. Senonché, per quel servigio reso a marzo, l’agente di recupero crediti avrebbe preteso un lauto pagamento da Gaiatto che, spaventato, gli ha versato 110 mila euro, fra l’altro facendoseli prestare da un amico.
La teste chiave, la collaboratrice che ha consegnato i 12 faldoni alla Finanza, ha raccontato di essere stata minacciata di morte da alcuni malavitosi a suo dire inviati da Gaiatto. Le chiedevano la restituzione del denaro asseritamente sottratto al trader e lo sblocco dei conti di Studio holding doo, pignorati da un terzo.
Gaiatto e sua moglie Najima Romani, nata a Udine, 31 anni, difesa di fiducia dall’avvocato Maurizio Miculan, sono indagati anche per l’ipotesi di reato di autoriciclaggio. Romani risulta alla Finanza l’amministratrice della società Studio Holding doo, con sede in Croazia, oltre che essere indicata sul sito della Venice forex investment come “responsabile di segreteria”.
Dalla ricostruzione degli inquirenti emerge che è stata proprio la Studio holding ad acquistare i 17 immobili, del valore di più di 3,7 milioni di euro (appartamenti nelle località balneari di Jesolo e Lignano Sabbiadoro, ma anche palazzi di pregio in vari comuni veneti). Gli inquirenti ritengono che i soldi degli investitori siano prima passati attraverso il conto corrente estero di Venice e poi girati su vari conti in Italia e all’estero, intestati a soggetti diversi e poi utilizzati per acquistare gli immobili.Tramite la società schermo croata, Gaiatto riceve tuttora, secondo gli inquirenti, il canone di affitto di 7 immobili. Case acquistate con i proventi illeciti della truffa, secondo la Procura, e pertanto poste sotto sequestro per la confisca. Immobili acquistati con il frutto del suo guadagno lecito dall’attività di foreign exchange, invece, secondo quanto dichiarato da Gaiatto durante l’interrogatorio del 27 aprile. —
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