«Le Fondazioni Pellicani e Nono sono realtà che vanno sostenute»
«La Fondazione Pellicani è un’eredità che Gianni ha lasciato a Venezia, così come la Fondazione Nono, per merito di Gigi. Sono realtà istituzionali importanti per la città e i poteri pubblici locali e nazionali farebbero bene a sostenerle, facendosene carico, superando ogni piccinerìa». Lo ha detto ieri il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano, chiudendo ieri nell’aula magna dello Iuav il convegno nel decennale della scomparsa dell’ex sindaco di Venezia e già parlamentare del Pci, organizzato dalla Fondazione presieduta ora da Cesare de Michelis e portato avanti dal figlio Nicola. Un convegno che aveva al centro il tema del “Riformismo a Venezia e in Italia”, con la partecipazione di politici e parlamentari e anche di ex sindaci veneziani, come Mario Rigo, Paolo Costa, Massimo Cacciari. Ma ad ascoltare l’appello di Napolitano e il dibattito - seguito dalla mattina al pomeriggio - non c’era né il sindaco Luigi Brugnaro (che inizialmente aveva assicurato la sua presenza), né alcun rappresentante della giunta, con un evidente sgarbo istituzionale. «Gianni Pellicani ha fatto il massimo del riformismo», ha ricordato Napolitano nel suo intervento. «Il suo - ha detto il presidente emerito - fu un riformismo a livello locale, da vice sindaco a Venezia, ma anche a livello nazionale, con il governo ombra dei Ds e poi per lunghi anni in Parlamento». Sull'esempio di Pellicani, ha concluso Napolitano, «oggi bisogna allargare gli spazi del riformismo».
E sulla necessità di «dare vita a un movimento riformista nuovo, altrimenti rischiamo solo di andare avanti a riformette» aveva convenuto poco prima anche l’ex sindaco Massimo Cacciari, fino a pochi giorni fa presidente della Fondazione Gianni Pellicani, dialogando sul riformismo con Ciriaco De Mita e Rino Formica.
«La promessa delle grandi democrazie è la crescita» ha detto il filosofo «e garantire che tuo figlio starà meglio di te perché se non c’è questa fondata speranza, crolla tutto». Cacciari e gli altri testimoni si sono domandati come possa essere possibile dare vita oggi a un nuovo movimento riformista, capace di riacquistare una propria autonomia e di promuovere un cambiamento culturale come avrebbe dovuto fare in passato: «Il riformismo – ha affermato, facendo riferimento agli interventi che avevano sottolineato i rapporti di alleanza e opposizione tra Pci, Psi e Dc – non può essere ridotto solo al diverso rapporto tra le diverse anime del grande movimento operaio».
Le cause del fallimento del riformismo non sono state la mancanze di idee che invece abbondavano, ma delle strutture organizzative in grado di concretizzarle. Cacciari ha concordato con De Mita sulla «crisi del ruolo del politico» dopo il 1968 ribadendo che «siamo ancora dentro questa crisi, a cui si sono aggiunte anche la crisi istituzionale, quella dell’amministrazione e della burocrazia, nel senso weberiano. Oggi la politica deve fare i conti con una debolezza fisiologica rispetto alle grandi potenze del mondo contemporaneo che ricorrono alla politica solo nel momento del bisogno, per poi abbandonarla». (e.t.- v.m.)
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