«Lavoro in carcere oppure la pena diventa un inferno»

L’appello di Cacciari per i 20 anni della coop “Il Cerchio” A Sacca Fisola tante personalità con il fondatore Trevisan
Di Vera Mantengoli

«L'unico modo per affrontare la pena è quello di organizzarla come una “non pena”. Questo vuol dire portare lavoro e attività in carcere, altrimenti la pena diventa amministrazione di un inferno». Il filosofo ed ex sindaco Massimo Cacciari è intervenuto ieri al convegno “I nostri primi venti anni. Esperienze sul lavoro nel carcere femminile”, organizzato ai Campi Sportivi di Sacca Fisola per festeggiare la cooperativa sociale “Il Cerchio”, fondata da Gianni Trevisan nel 1997.

Oltre duecento persone hanno partecipato all'incontro, moderato da Gianni Vianello, sull'importanza del lavoro in carcere. Presenti le storiche associazioni Il Granello di Senape (fondata da Trevisan e diretta da Maria Voltolina) e Rio Terà dei Pensieri (diretta da Liri Longo e fondata da Raffaele Levorato, deceduto di recente e ricordato più volte); l'onorevole Gennaro Migliore per il ministero di Giustizia, il Tribunale di Sorveglianza (con il presidente Giovanni M. Pavarin), la Camera Penale di Venezia (con la presidente Annamaria Marin), le attuali direttrici del carcere femminile (Antonella Reale) e maschile (Imma Mannarella), il Prap Trivento (con Enrico Sbriglia), l'assessore alla Coesione sociale Simone Venturini, l'ex direttrice Gabriella Straffi, il Garante dei diritti Sergio Stefferoni e il cappellano padre Andrea Cereser.

Il fondatore Gianni Trevisan ha ricordato il momento in cui Venezia si è posta il problema del lavoro in carcere, in seguito a «una disgrazia acuta avvenuta in città».

Il riferimento è all'omicidio del provveditore Alessandro Di Ciò nel 1993, avvenuto per mano di Sandro Travagnin che venne arrestato.

Fu allora che Levorato e Trevisan si avvicinarono alla realtà penitenziaria. Nel corso di questi venti anni la cooperativa Il Cerchio ha dato lavoro a 700 detenuti, all'interno delle mura grazie alla sartoria e alla lavanderia e all'esterno in diversi ambiti. «Siamo riusciti a tessere rapporti con le istituzioni come la Biennale e la Fenice» ha detto Trevisan «ma il futuro è riuscire a ottenere tutte le certificazioni per fare gare europee».

«Con la riforma della Legge Gozzini del 1975» ha detto il magistrato Pavarin «lo Stato introduce il lavoro in carcere. Il lavoro produce un'opera di cambiamento silenzioso e lento nelle persone che riprendono dignità». Toccante l'intervento di Straffi che ha ripercorso la sua esperienza dal 1984 allo scorso dicembre, quando è andata in pensione: «Ho vissuto il periodo delle grandi proteste in carcere» ha ricordato «A volte avevo paura, ma le capivo perché il carcere era proprio brutto. Da quando in carcere sono entrati attori e musicisti e si può lavorare ho visto che le persone hanno cambiato volto».

Tra il pubblico anche l'ex assessore regionale Renato Chisso, libero da qualche mese: «Ho conosciuto Il Cerchio in carcere» ha detto «Sono qui perché questa realtà vanno valorizzate e condivido ogni parola dell'intervento di Massimo Cacciari». Migliore ha tirato le fila: «Queste realtà fanno la differenza e bisogna promuovere sempre di più l'idea di impresa sociale e avvicinare le aziende al carcere affinché portino lavoro, non per scontare la pena ma seguendo i principi della Costituzione».

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