Lava le tute piene d’amianto del marito, carropontista a Marghera, e muore: maxi risarcimento

La donna era sposata con un operaio che aveva lavorato per anni alla Fincantieri Il decesso nel 2015 per mesotelioma pleurico. Seicentomila euro ai familiari
Foto Agenzia Candussi/ Marghera, via delle industrie/ Multe sulle auto in sosta
Foto Agenzia Candussi/ Marghera, via delle industrie/ Multe sulle auto in sosta

MARGHERA. Per anni aveva lavato e stirato le tute da lavoro del marito, carropontista dal 1973 al cantiere navale Breda di Marghera, poi divenuto Fincantieri. Erano gli anni in cui gli operai lavoravano a stretto contatto con l’amianto, senza alcuna protezione. Era proseguito così fino all’inizio degli anni Novanta, quando erano stati introdotti i primi dispositivi per preservare gli operai dall’inalazione delle fibre. La donna aveva sempre lavato e stirato le tute del consorte. E proprio per aver eseguito a lungo queste due operazioni, è morta. Il giudice civile Luca Trognacara, nella sentenza depositata ieri, ha chiarito che il decesso per mesotelioma della donna (era l’ottobre del 2015) fosse da ricondursi all’amianto inalato tra le mura domestiche, lavando e stirando le tute. E per questo ha disposto un risarcimento agli eredi (difesi dall’avvocato Enrico Cornelio) che, tenuto conto delle cifre e dei relativi interessi, arriva a 621mila euro, che dovrà essere versato da Fincantieri. Beneficeranno della somma il marito della donna, la figlia, la sorella, il fratello e la nipote, ciascuno in percentuali variabili.

Il giudice è partito dal presupposto che è molto probabile l’esposizione all’amianto per l’operaio, marito della donna, nei due decenni di lavoro al cantiere navale Breda e poi alla Fincantieri.

«L’esposizione all’amianto dell’operaio ha comportato la traslazione della suddetta esposizione delle fibre di amianto all’interno delle mura domestiche», si legge nella sentenza, «con la conseguenza che la moglie ha subìto su se stessa gli effetti dell’inquinamento provenienti dalla realtà lavorativa del marito, ammalandosi e scontando tragicamente con la propria vita la convivenza matrimoniale con l’operaio». La stessa consulenza tecnica d’ufficio aveva evidenziato come la patologia contratta fosse da ricondursi all’inquinamento venutosi a creare a casa.

Nella quantificazione del danno, il giudice ha tenuto conto della consapevolezza della donna di essere gravemente malata: la diagnosi era di marzo 2015, la morte era sopraggiunta a ottobre dello stesso anno. Il mesotelioma era stato aggressivo e molto veloce. Per il tribunale c’è la prova «della sofferenza fisica e psichica eccezionale della donna a causa dei dolori lancinanti per le metastasi diffuse», ma anche che la signora «fosse pienamente consapevole di morire, stante la gravità delle sue condizioni e fosse dunque in grado, fino a che rimase cosciente, di comprendere la certezza della sua morte imminente».

Fincantieri, dal canto suo, secondo il giudice non è riuscita a dimostrare altre possibili cause della malattia che ha portato la donna alla morte e quindi deve ricadere su di lei la responsabilità dell’impresa sulla tutela delle condizioni di lavoro.

«Il vedovo non ha più trovato pace a causa del senso di colpa che lo pervade ed inoltre è sempre in attesa di notizie dalla medicina del lavoro per sapere se gli toccherà di raggiungere sua moglie», commenta l’avvocato Cornelio che ha seguito la famiglia nella battaglia giudiziaria che potrebbe però non essere finita. Le parti potranno infatti impugnare la decisione.


 

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