«Lasciato da solo a lottare contro la Sla»
Alessandro Battistin, ex giocatore del Mirano Rugby, inserito (e poi tolto) da un protocollo con un farmaco sperimentale
EDEL-FOTOPIRAN-ALBIGNASEGO-INTERVISTA ALESSANDRO BATTISTIN
PADOVA. Ammalarsi di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, che comporta una degenerazione progressiva del motoneurone centrale e periferico, con la perdita graduale della normale capacità di deglutizione, dell’articolazione della parola e del controllo dei muscoli dello scheletro, sino alla compromissione del respiro, e scoprire a pochi giorni dall’inizio di una terapia basata sull’utilizzo di un nuovo, costosissimo, farmaco, che non sei più nell’elenco degli ammessi al protocollo sperimentale. Alessandro Battistin, 51 anni, padovano della Guizza, ma residente ad Albignasego, assistente capo al 2º Reparto Celere della Polizia di Stato in pensione dal 15 novembre, sposato con Michela e padre di una figlia di 10 anni, Giulia, non ha affatto alcuna intenzione di arrendersi, ma chiede chiarezza ad un sistema sanitario basato su prassi e regole molto discutibili.
Lo fa con discrezione, senza urlare la rabbia che pure lo pervade, bloccato com’è su una sedia a rotelle da alcuni mesi. I primi sintomi della malattia si erano manifestati nel luglio 2016. «Non riuscivo più a camminare in punta di piedi», racconta. «Già dai primi esami ci si era resi conto che non si trattava di una cosa semplice, sino ad arrivare al maggio scorso, quando mi è stata diagnosticata la Sla, malattia molto invalidante. Ad agosto vengo a conoscenza che c’è un nuovo farmaco specifico, prodotto in Giappone, e tramite un neurologo di Torino, che aveva fatto da tramite con l’ospedale di Padova, si è parlato della possibilità di farmi accedere ad una lista per usufruire di questa terapia, che non è ancora attiva qui. Per essere inseriti in protocollo era necessario, però, avere determinati parametri. Uno di questi è la mobilità: da agosto io non ne ho più tanta, e mi era stato detto che avrei potuto rientrarci benissimo. Ero fiducioso. Invece, quattro giorni prima che inizi la terapia (il cui via è fissato per l’11 dicembre,
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) mi avvisano che non rientro più nell’elenco. Così ho perso 5 mesi! Avevo detto anche che, se per caso fossi rimasto fuori, mi sarei dato da fare personalmente per acquistare il farmaco (oggi reperibile nella Città del Vaticano, al prezzo di 1.900 euro per il trattamento di una settimana, o direttamente in Giappone, al costo di 140 euro sempre per una settimana,
ndr
). In una situazione come la mia, anche un giorno fa la differenza, figuriamoci un periodo così lungo».
L’assurdità è che, essendo comunque entrato nella lista, Battistin si sia visto sospendere pure l’unico ciclo di cure a cui si era sottoposto, quello infusionale di immunoglobuline: «Sono rimasto a piedi. Ora non faccio più niente, solo fisioterapia. Di fatto, sono solo a lottare contro il male».
Intorno a lui, per fortuna, la macchina della solidarietà degli amici e dei conoscenti si è messa in moto. Ed è dal rugby, dove ha recitato per anni da protagonista prima come giocatore e poi come allenatore (ruolo che gli ha fruttato due scudetti con l’Under 20 del Petrarca, una promozione dalla B alla Serie A con il Valsugana, e una dalla C alla B con il Bassano, di cui è tuttora il responsabile del settore giovanile, dal 1991 al ’98 nel Mirano Rugby della A/1, la stagione migliore del club bianconero), che sono giunti i fatti concreti: «Quando alcuni amici mi dicono: “Sandro, abbiamo noi i fondi per acquistare il farmaco che ti serve”, io dico che i medici devono essere chiari, espliciti. Se il sistema sanitario non me lo passa, sarò io a comprare il farmaco. Ma devo saperlo, perché, ripeto, 5 mesi per me sono preziosissimi. Ad agosto camminavo con il bastone, ora invece sono seduto su una carrozzina, ho grossi problemi a parlare e respirare. Non stiamo parlando di un’influenza, curabile con un’aspirina, ma di una malattia degenerativa, che, nel mio caso, è aggressiva».
Battistin confessa di sentirsi «isolato dal mondo». Dalla Neurologia di Padova gli hanno fatto capire che, per ora, deve arrangiarsi, ma lui non ci sta. La prossima settimana sarà da uno specialista a Milano, poi ha già programmato una visita ad un centro specializzato di Innsbruck, in Austria. Il vero sostegno morale, invece, lo riceve proprio da chi ha allenato o da chi vi ha giocato insieme. «Il mondo del rugby è quello che mi fa vivere, non sono mai solo, ho sempre gente che sta qui, in casa mia. La speranza giunge proprio da lì, e dalla mia famiglia. Guardate, nella mia sfortuna sono stato anche fortunato: ho una moglie e una figlia che adoro, ho amici, nessuno mi lascia un attimo. Ma quelli che veramente sono soli, in condizioni di immobilità come le mie, devono essere aiutati. Bisogna avere un po’ più di umanità».
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