L’arte non è blasfema: assolto il balletto sadomaso della Biennale di Venezia

La Cassazione chiude il caso dello spettacolo che aveva fatto arrabbiare il patriarca Scola: respinto il risarcimento chiesto dall'avvocato veneziano Cacciavillani
La protesta contro il balletto "Messiah Game" alla Biennale del 2007
La protesta contro il balletto "Messiah Game" alla Biennale del 2007

VENEZIA. Un balletto non è blasfermo: in uno Stato laico, l’arte è «espressione di una libertà garantita dalla Costituzione» e non si possono «inibire» le manifestazioni artistiche, anche se «sospettate di offendere il sentimento religioso di qualcuno».

La Cassazione ha così respinto la richiesta di risarcimento per danni morali avanzata dall’avvocato veneziano Ivone Cacciavillani nei confronti della Biennale, “rea” di aver messo in scena - nel 2007 - il balletto “Messiah Game”, lettura in chiave sadomaso della Passione di Cristo, firmata dal coreografo tedesco Felix Ruckert.

Uno spettacolo il cui solo annuncio aveva fatto arrabbiare l’allora patriarca Angelo Scola, che aveva chiesto fosse ritirato. Naturalmente la Biennale proseguì con la sua programmazione, replicando in una nota che l'annullamento avrebbe minato «alle radici il principio di autonomia e di libertà d'espressione: ogni giudizio di tipo etico, morale o religioso è pertanto lasciato alla coscienza del pubblico» . Ma l’avvocato Cacciavillani ci mise del suo, chiedendo oltre 13 mila euro di risarcimento, per una performance che riteneva gravemente offensiva «del comune sentire medio del cittadino cattolico, oltre che lesivo del diritto di libertà religiosa garantito dall'articolo 19 della Costituzione e del suo personale sentimento religioso». Ci aveva già provato nel 1988, denunciando per blasfemia Martin Scorsese e “L’ultima tentazione di Cristo”, presentato alla Mostra del Cinema: ma - oggi come allora - i giudici hanno ribadito che in Italia vige la libertà di espressione.

Nel caso di “Messiah Game” - riporta l’Ansa citando stralci della sentenza - la Cassazione ha escluso che «l'organizzazione di uno spettacolo artistico possa, di per sé sola, costituire violazione del personale sentimento religioso di un singolo cittadino», «essendo la programmazione di una manifestazione artistica espressione di una libertà garantita dalla Carta costituzionale». Secondo i giudici, «il principio di laicità dello Stato, comporta equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose, e, dunque il dovere di garantire (...) l'esercizio delle diverse religioni, culti e credenze e di assicurare la tolleranza anche nelle relazioni tra credenti e non credenti».

Solo pochi giorni fa, il Tribunale di Venezia ha “assolto” un’altra opera presentata alla Mostra del Cinema, per una scena nella quale la protagonista del film di Ulrich Seidl "Paradies - Faith” (Gran premio della Giuria) si masturbava con un crocifisso. A qualcuno può non piacere, ma non è un reato: caso archiviato.

 

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