L’area Montefibre e gli ex dipendenti ancora senza futuro

I sindacati: «Nessun investimento nei 90 ettari comprati dal Porto e solo 10 nuovi posti di lavoro per i disoccupati»
Di Gianni Favarato

Nei capannoni della Montefibre si cominciarono a produrre fibre acriliche nel 1958 con appena 48 operai. Negli anni seguenti, grazie agli impianti integrati a quelli del resto del Petrolchimico e al boom delle fibre sintetiche, i dipendenti arrivarono a 488 unità per poi scendere a poco più di 300 alla fine degli anni Novanta.

Oggi, a distanza di 5 anni dalla chiusura di tutte le produzioni di Montefibre a Porto Marghera, gran parte dei suoi ex dipendenti, dopo più di 5 anni di cassa integrazione straordinaria, sono ancora alla ricerca di una nuova occupazione e l’area, bonificata solo dall’amianto, è in stato di abbandono e in attesa di essere riutilizzata. Eppure si tratta di un’area di 90 ettari e con una banchina portuale lunga un chilometro e mezzo che mette insieme i terreni dove Montefibre produceva l’acrilico e quelli adiacenti di Syndial (Eni) con gli impianti dell’acido solforico. Le aree industriali dismesse e da bonificare, cedute pochi giorni fa da Eni a Comune di Venezia e Regione Veneto, misurano complessivamente poco più di 107 ettari suddivisi a macchia di leopardo in tutta Porto Marghera. Ma vendere le aree dismesse dalle società dell’Eni a società intenzionate ad avviare nuove attività industriali e logistiche, malgrado i “mitici” imprenditori - citati più volte dal governatore Luca Zaia, che starebbero facendo la fila da anni per comprarle - non sarà un’impresa facile.

Lo testimonia, appunto, l’area Montefibre, comprata dall’Autorità Portuale per realizzare - con capitali privati - la piattaforma di terra del terminal offshore che si dovrebbe realizzare al largo di Venezia, ma oggi ancora del tutto inutilizzata. Più della metà degli ex dipendenti sono disoccupati iscritti nelle liste di mobilità dei Centri per l’impiego. «Ad oggi, dopo quasi 6 anni», dice la segreteria della Filctem-Cgil veneziana in una nota, «gli impegni presi dall’Autorità Portuale e le Istituzioni non hanno portato a nessun posto di lavoro, tranne una decina di lavoratori assunti dall’ Ati con capofila la Demont di Mestre, che ha vinto un bando di gara per le bonifiche dell’area legato all’assunzione del maggior numero di persone possibile degli ex lavoratori Montefibre. Altri posti di lavoro non si sono visti. Il fatto è che non hanno tratto vantaggio nemmeno i lavoratori che sono sempre stati disponibili a rimettersi in gioco seguendo tutti i percorsi di formazione professionale che sono stati proposti loro. Molti hanno seguito fino a 9 corsi di formazione nell’arco dei 5 anni di cassa integrazione con la speranza che gli servissero per essere reimpiegati. L’unico risultato ottenuto da questi discutibili corsi di formazione è stato quello di arricchire le casse degli enti formativi come Umana, Fondo Impresa e soprattutto Cfli. Purtroppo le promesse fatte e mai rispettate stanno togliendo anche le ultime speranze che qualcosa di positivo possa succedere sul fronte dell’occupazione a Porto Marghera».

Malgrado il deprimente quadro disegnato dalla crisi che negli ultimi 15 anni ha quasi azzerato il Petrolchimico, i sindacati dei chimici veneziani di Cgil, Cisl, Uil hanno deciso di passare alla “riscossa” chiedendo un incontro con il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, che sarebbe stato fissato per martedì o mercoledì prossimi e proponendo un “tavolo” di lavoro per il tanto sperato rilancio di Porto Marghera.

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