L’America Latina sbanca il Lido Vince “Desde allá”

L’esordiente Lorenzo Vigas è Leone d’Oro Trapero d’argento, Golino migliore attrice
Di Roberta De Rossi
Italian actress Valeria Golino poses on the red carpet after receiving the Coppa Volpi award for Best Actress after the closing award ceremony of the 72nd Venice International Film Festival in Venice, Italy, 12 September 2015. ANSA/ETTORE FERRARI
Italian actress Valeria Golino poses on the red carpet after receiving the Coppa Volpi award for Best Actress after the closing award ceremony of the 72nd Venice International Film Festival in Venice, Italy, 12 September 2015. ANSA/ETTORE FERRARI

VENEZIA. Il leone di Venezia72 ruggisce latino, ama le storie dense, grondanti realtà difficili, ma è pronto anche a sdrammatizzarle affidandosi (quando capita) ad attori animati.

Tra gli applausi del pubblico in Sala Grande - e qualche fischio in sala stampa - la giuria presieduta dal regista messicano Alfonso Cuarón ha così consegnato il Leone d’oro per il miglior film della mostra 2015 al venezuelano Lorenzo Vigas e alla sua storia di solitidine e voyerismo “Desde Allá”: «Dedico questo premio al mio paese, al Venezuela, che ha avuto molti problemi, ma sono certo che li supereremo tornando a parlare tra noi». Il Leone d’Argento per la migliore regia è poi volato nella mani di Pablo Trapero, con il suo film argentino-spagnolo “El Clan”, storia criminale della famiglia Puccio, negli anni pesanti della dittatura e di 30 mila desaparecido. Nessun timore di apparire di parte, ha tagliato corto Cuarón in conferenza stampa, ma solo attenzione ai film.

Gran premio della Giuria ai personaggi malati di solitudine e teneri di “Anomalisa”, che Charlie Kaufman e Duke Johnson hanno affidato all’animazione stop motion e che hanno conquistato giuria e pubblico.

L’Italia c’è con la Coppa Volpi «alla grandissima Valeria Golino» - come la chiama sul palco Cuarón - che la riceve quasi senza fiato, avvolta in una morbida tunica rosso veneziano. Ad applaudirla anche il compagno Riccardo Scamarcio, che però si defila per non rubarle la scena sul red carpet. Golino è la struggente protagonista di “Per amor vostro” di Giuseppe Gaudino: una mamma coraggio nel difendere i figli dal padre, ma ingenua al punto di innanorarsi di un “Valentino” pericoloso, una donna che ha smarrito i colori. La voce rotta dall’emozione, ringrazia con il linguaggio dei segni gli amici che glieli hanno insegnati per parlare al figlio «non udente» sulla scena, ricorda la Coppa Volpi vinta «quasi trent’anni fa per “Una storia d’amore”» e rivendica il diritto ad essere felici per se stessa: «C’è una gioia quasi infantile nel ricevere questo premio, con la stessa ingenua allegria di allora. Sono molto contenta per me».

Parla francese, ma promette finalmente di imparare l’italiano in memoria del padre emigrato, Fabrice Luchini, miglior interpretazione maschile per il film “L’hermine” di Christian Vincent (che si aggiudica anche il premio per la migliore sceneggiatura). Luchini ringrazia in videomessaggio, «per la più bella ricompensa della mia carriera, un premio che mi commuove». Ed è pura allegria e applausi in sala quando la giuria premia come miglior attore esordiente il giovanissimo Abraham Attah, bimbo soldato del duro “Beasts of no nations”. Premio speciale della giuria, infine, al turco “Abluka (Frenzy)”.

Contrappunto glamour della serata, di verde bandiera Fendi vestita, la madrina Elisa Sednaoui. La coincidenza con il premio Campiello svuota la platea di autorità, ma tiene stretto il punto sul cinema, con il presidente della Biennale Paolo Baratta che - incurante di quella scadenza di mandato a fine anno, che tutti danno ormai per rinnovo assodato - ringrazia il direttore Alberto Barbera, con finta nonchalance ricorda di passaggio l’aumento di spettatori e giornalisti, il rinnovo delle sale, il cinema in giardino, come fosse cosa ormai naturale e dà appuntamento «al 31 agosto 2016, evviva Venezia 73»

Quanto al leone del red carpet quello se lo contendono alla pari - un’aluccia dorata per uno - Johnny e Vasco: Depp, nonostante i due denti d’oro, i chili di troppo, il capello più unto che gellato - gangster con il riporto in “Black mass” - è stato il più seguito e inseguito per un autografo, un selfie. Blasco, però, ha scosso un carpet da giorni stanco - dopo lo stordimento di star hollywoodiane della prima settimana - con i cori dei suoi fan, le canzoni a palla dagli amplificatori, la simpatia di chi le ha viste tutte e ora si sente in pace: «Quando ho scritto vita spericolata volevo morire, ero una rockstar». Ora non ci pensa proprio.

Infine, una menzione speciale: ai cinque aborigeni del Pacifico che per giorni hanno girato il Lido in gonnellino di paglia per affermare il loro diritto all’esistenza e alla felicità. Alla mostra sono arrivati con “Tanna”, una storia d’amore. Ieri si sono presentati seminudi in Sala Grande e nella loro isola nell’Oceano Pacifico tornano con il premio della Settimana della critica.

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