L’altezza elevata è un tabù tanti progetti fermi al palo
Mestre cresce in verticale ma le altezze fino a cento metri paiono, al momento, non avere vita facile. C’è il caso della torre della Blo in area Romea, stoppata dalla commissione Via e che dovrà rifare tutto l’iter, con l’incognita da fugare da parte del Comune sulle altezze ma ci sono anche altri interventi simili, da anni al palo. Come non ricordare le tre “principesse”, le torri fino a 110 metri dell’ex Umberto I in stallo da otto anni da parte della Dng, travolta dalla crisi del settore edilizio ed economico, e per le quali ora si vocifera di possibili nuovi acquirenti, un pool di aziende italiane. In stallo è anche la torre da 140 metri di cui si parla da anni per via Ulloa: il progetto inizialmente proposto dalla società Todini, ora è passato alla romana Salini e potrebbe finire coinvolto dal progetto di connessione tra Mestre e Marghera, sopra la stazione di Mestre, a cui lavora la giunta Brugnaro. Tema che, come ha ricordato dalle pagine del nostro giornale l’architetto Gianfranco Vecchiato, ex assessore comunale, è una questione che torna sempre nel dibattito sullo sviluppo di Mestre, dalla piastra di Piano fino alle opere annesse alla torre, sfumata, di Cardin a Marghera e ora ripreso dalla nuova amministrazione. Ma passi avanti tangibili, al momento, per quel progetto sul fronte di via Ulloa non se ne vedono. Se guardiamo ai progetti dell’area degli “affari” immobiliari, l’asta dalla stazione a via Torino (di cui abbiamo scritto nell’edizione di lunedì scorso), le altezze dei sette progetti che sono in itinere o in costruzione non superano i 45 metri. Solo la Hybrid Tower della Cervet, con i suoi 80 metri, è arrivata in porto e al momento è la più alta della terraferma. Costruire in altezza significa consumare meno suolo. Ma guardando alla città dall’alto della terrazza della Hybrid appare evidente la necessità di segni architettonici che diano a Mestre una identità forte, con il bello come carattere dominante. Quella bellezza che la miriade di edifici degli anni ’50 e ’60 non hanno garantito allo sviluppo della terraferma. (m.ch.)
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