L’Africa in moto per 8 mila chilometri: «Più polvere che pane, ma una gioia unica»
CHIOGGIA. «Giorni e giorni senza lavarsi, poche ore di sonno e per cibo più polvere che pane, ma lo rifarei domani».
Questo il primo commento di Laura Cola, fondatrice della community Donneinsella, al rientro dalla Budapest-Bamako, una competizione a scopo umanitario con un percorso di 8.000 km che attraversa cinque Stati.
La Cola, 37 anni, è rientrata con un doppio primato, unica italiana a partecipare all’edizione 2020 e unica donna a gareggiare in moto nelle 14 edizioni totali. Il rally amatoriale si è aperto a Budapest e si è concluso a Freetown, in Sierra Leone.
«È stata un’esperienza al limite della resistenza fisica e mentale soprattutto per chi, come me, l’ha affrontato in moto», racconta la ragazza, «questo charity challenge richiede di dover essere totalmente autosufficienti e di dormire quasi sempre nei bivacchi. Devi continuamente centellinare acqua e benzina, guidare in notturna tra mille pericoli e sudare o avere freddo, come i primi giorni, sotto l’attrezzatura da moto. Il tutto con il peso di bagagli, taniche, tenda e pezzi di ricambio al seguito. Una volta iscritto ti viene spiegato che devi essere indipendente in tutto. Di campo in campo, di bivacco in bivacco. Hai le coordinate quotidiane, un numero di telefono attaccato al collo per le emergenze, e non è detto comunque che possano soccorrerti, per il resto fai come credi. All’inizio tutto ciò ti sembra strano, poi capisci, decidi tu qual è il tuo ritmo, quale aspetto dell’evento vuoi maggiormente esplorare. E diventa un’esperienza unica».
In parallelo i team a scopo umanitario riforniscono i villaggi di medicinali e altri prodotti. «Ci sono state tappe più scorrevoli ma lunghissime, altre più brevi ma davvero impegnative», racconta Laura Cola, «l’imprevisto era all’ordine del giorno e spesso non avevo la minima idea di cosa mi sarei dovuta aspettare. Alcune location sono state spettacolari, nel mezzo del deserto come in Marocco e in Mauritania, o in campi aperti tra i baobab, pronti a ospitare gli oltre 300 mezzi e il grappolo di moto a ogni arrivo. Anche se il più delle volte siamo arrivati in piena notte, con lo stomaco aggrovigliato dalla tensione e dalla fatica, gli occhi crepati dalla polvere, le gambe tremanti, ogni bivacco mi sembrava bellissimo. Spesso mi bastavano cinque minuti per montare la tenda, srotolare il sacco a pelo, togliermi tutto di dosso e crollare dal sonno. Qualche ora di sonno, una stropicciata d’occhi, mezz’ora per impacchettare tutto, rivestirsi e ripartire. Poteva andare tutto storto, ma è andato tutto bene. Sono caduta più volte dalla mia Crf 250 Rally Honda, spesso ho trovato davanti camion contromano, animali tranquillamente sdraiati in mezzo alla strada, buche enormi o interruzioni improvvise. Ho pianto per lo sconforto in alcune notti interminabili, con i buchi nelle mani per le vesciche, non mi sono lavata per giorni e ho mangiato tanta polvere. Ma è andato tutto bene. Così ho trascorso i miei 20 giorni africani, con una media di 600 km al giorno di guida, l’80% in offroad. Venti giorni immersi in nuove culture, dalle spet tacolari piste dakariane nel deserto alla savana senegalese, passando per le piste rosse della Guinea fino alla verdeggiante Sierra Leone. Un paesaggio in continua mutazione con un’unica costante, l’ondata di schiamazzi dei bambini, sempre sorridenti, pronti a sbucare da ogni lato». —
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